“Mistero e incanto”

L'appello in cattedrale: “La vita non è codice fiscale o budget di spesa, come profilo virtuale. L’uomo e la donna sono bellezza, mistero, incanto”

“Non lasciamoci rubare la Speranza, Cristo Risorto. Frequentiamo la sua vita. Liberiamoci dalla lettura tecnico-economica, a cui ci riduce il sistema. Diciamo basta a una vita pensata come codice fiscale, come budget di spesa, come profilo virtuale. L’uomo e la donna sono bellezza, mistero, incanto”. L’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, nell’omelia del solenne pontificale di Pasqua in cattedrale domenica 16 aprile ha posto al centro della riflessione la grande “notizia” della Risurrezione di Gesù, già annunciata nella lunga Veglia pasquale di sabato sera, durante la quale l’Arcivescovo ha conferito Battesimo, Prima Comunione e Cresima a due donne, Ilaria e Ionida. Sono ventuno in tutta la Diocesi gli adulti che sabato sera hanno ricevuto il battesimo (il gruppo più consistente, tredici, a Rovereto nella parrocchia della Sacra Famiglia).

“Il potere degli uomini, per quanto possa essere assoluto, conosce il limite della morte”, ha ricordato in apertura dell’omelia di Pasqua il vescovo Tisi. “Può decidere – lo raccontano le cronache di questi giorni – la morte degli altri, ma non può nulla per sottrarre se stesso alla morte. Il Risorto, invece, esercita la sua signoria anche sulla morte”, ha sottolineato con un accenno all'attualità. Dal vescovo è venuto l’invito a vivere la Pasqua nella quotidianità: “Credere al Risorto è intrecciare incontri, è imbandire tavole di fiducia, è possibilità di ripartire e di ricominciare”.

La celebrazione in cattedrale ha costituito l'apice del Triduo pasquale, cuore della fede cristiana, che ha visto in tutte le parrocchie le comunità raccogliersi in preghiera per rivivere la passione (giovedì), la morte (venerdì) e la risurrezione (sabato, nella veglia pasquale) di Gesù.

Giovedì Santo presiedendo al mattino la concelebrazione della Messa Crismale con tutto il clero trentino e i fedeli nel corso della quale sono stati benedetti gli oli santi l'arcivescovo aveva rivolto un accorato appello alla fraternità che “non s'insegna, ma si vive” e che va praticata, più che predicata (“noi per primi”, ha detto mons. Tisi all'indirizzo in particolare degli oltre trecento preti e religiosi convenuti da tutta la Diocesi). C'erano anche quasi duecento ragazzi cresimandi provenienti da diversi angoli del Trentino, a cominciare dalla Rendena, la valle del vescovo Lauro. “Rappresentate tutto il grande popolo di Dio che ringraziamo – ha detto il vescovo – per la collaborazione e la creatività che sta mostrando nelle nostre comunità, nonostante le difficoltà”. Quali siano queste difficoltà, mons. Tisi l'ha esplicitato nell’omelia: “Assemblee eucaristiche disertate, strutture ormai sproporzionate della nostra pastorale, la fatica a trovare collaboratori, gli acciacchi dell’età…”. Ma non sono questi, secondo l’Arcivescovo, i parametri per leggere l’oggi della Chiesa: “Il Regno di Dio non si misura con l’imponenza dei numeri, delle strutture, con il sentirsi al centro della mappa del potere. Il Regno si nutre, al contrario, di gesti nascosti, di tanti uomini e donne che, nel silenzio umile, asciugano lacrime. Ma quelle altrui, non le proprie”. Alla sera, rinnovando il gesto della lavanda dei piedi – destinatari sei preti infermi e sei religiose -, mons. Tisi citando don Primo Mazzolari aveva parlato del dramma di ogni tradimento, riscattato – “ecco la buona notizia” – dall'amore di Gesù, che capovolge le nostre graduatorie e che deve produrre un cambiamento reale di vita.

Venerdì Santo, l’arcivescovo aveva guidato la liturgia pomeridiana in una cattedrale spoglia e a luci spente, con l’adorazione silenziosa della croce. “Mentre riviviamo la passione di Gesù di Nazareth che muore gridando 'Tutto è compiuto', c’è chi esalta i formidabili risultati di una bomba chiamata 'madre'. Una madre genera vita. Rifiutiamo con forza anche solo l’idea che a uno strumento di morte venga dato il titolo di madre”, ha detto mons. Tisi, scandalizzato “che il lessico della vita possa essere utilizzato con tanta tranquillità per definire le armi”. In un mondo nel quale spirano nuovi venti di guerra, in questo “tanto sognato villaggio globale” che “si sta trasformando in una rete insanguinata di barriere, che non risparmia nessun angolo del mondo” il Gòlgota, osservava l'arcivescovo, si fa “grembo della vita”. Lo proclama la Veglia pasquale, anche attraverso la ricca simbologia (la benedizione del fuoco, l’accensione del cero simbolo del Cristo, la benedizione dell’acqua battesimale) e lo riafferma la liturgia della Domenica di Pasqua.

“Fare Pasqua – ha riassunto don Lauro rivolgendosi ai detenuti nel carcere di Spini di Gardolo, incontrati in due distinte celebrazioni pasquali la mattina di martedì 18 aprile – vuol dire avere a che fare con un Dio così, che ci considera sempre capaci di amare”. L’arcivescovo ha voluto mantenere il proposito di celebrare in carcere la santa Messa in occasione di Natale e Pasqua. Ad accompagnarlo c'erano padre Stefano Zuin, cappellano a Spini da dicembre, al posto del compianto padre Fabrizio Forti, il segretario del vescovo don Mauro Angeli, coinvolto in progetti di vicinanza al carcere con la pastorale universitaria, e il diacono Alessandro Gremes, pure lui attivo tra i volontari a Spini. “Questo è un luogo di verità – ha detto l’arcivescovo – perché dove c’è dolore, c’è Dio. Il dolore svela la profondità del cuore di ognuno di noi, là dove abita la verità”.

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