Quando don Tonino venne a Bolzano

Gina Abbate: “L’eredità di don Tonino è una forza dirompente che ritroviamo là dove c’è passione per un mondo più umano e più giusto”

Bolzano – Si è ricordata la figura di don Tonino Bello, la settimana scorsa a Bolzano. L’iniziativa è stata del Centro per la Pace, che ha invitato Sergio Paronetto, autore del libro “Un’eredità che viene dal futuro”, e Gina Abbate, da decenni impegnata nelle file di Pax Christi. Alla professoressa Abbate abbiamo chiesto di raccontare il suo rapporto con don Tonino Bello.

Gina Abbate, quando e come ha conosciuto don Tonino?

Lo ho conosciuto attraverso Pax Christi quando era vescovo da poco tempo, alcuni mesi prima di diventarne presidente. Lo ricordo a un convegno a Loreto: portava una semplice croce di legno, non prendeva la parola ma era molto in ascolto. Ho chiesto ad amici chi fosse, se un missionario o… un vescovo. Mi hanno risposto alcuni giovani di Molfetta, molto fieri che fosse il loro vescovo, che sentivano particolarmente vicino ai poveri. Ospitava nell’episcopio persone e famiglie sfrattate, si era autodenunciato con gli operai che avevano occupato i binari ferroviari per reclamare i loro giusti diritti. Dunque uno stile tutto nuovo, ma anche un linguaggio molto pregnante e toccante. Gli volevano molto bene.

Che cosa ha significato don Tonino per l’Alto Adige?

Don Tonino è stato felice di venire a Bolzano alla fine del 1990 per la Marcia per la Pace. Era un momento molto difficile di drammatica attesa per l’ultimatum a Saddam che stava per scadere. Il tema della Giornata Mondiale per la Pace di quel Capodanno fu “Superare i confini”, per questo era stata fatta la proposta di Bolzano, accettata dal vescovo Wilhelm Egger, che aveva camminato, in quella notte di speranza, in cima al lungo corteo snodatosi per alcune vie della città, confluendo in Duomo, insieme ai vescovi Bettazzi, Volta e a don Tonino.

Alla tavola rotonda precedente la Marcia c’erano tra i relatori Alex Langer e Franz Thaler. Questo impegno di superare le barriere etniche aveva molto colpito don Tonino. Me lo avrebbe ricordato nella visita che nel 1993 gli ho reso a Molfetta, quaranta giorni prima che morisse.

Quale il rapporto di don Tonino con Alex Langer?

So che anche Alex Langer era andato a trovarlo nell’ultimo tempo della sua malattia. Gli aveva portato in dono una sciarpa con i colori della pace, tessuta insieme da donne serbe e bosniache nei tempi dolorosi della guerra nella ex Jugoslavia. Questa sciarpa per don Tonino è stata la stola che ha indossato nella celebrazione della messa fino all’ultimo giorno, quando l’ha consegnata nelle mani del suo grande amico che gli è stato sempre vicino, don Luigi Bettazzi.

Che eredità lascia don Tonino alla Chiesa che è in Italia?

L’eredità di don Tonino è una forza dirompente che ritroviamo là dove c’è passione per un mondo più umano e più giusto. Molti ritrovano in papa Francesco una continuità di stile e profezia, ma non solo: nella stessa Chiesa italiana si trovano oggi più voci coraggiose, anche nei vescovi, che indicano come concretezza del vivere il Vangelo l’accoglienza dei profughi e rifugiati, la scelta della nonviolenza attiva, il disarmo, a tutti i livelli, l’etica del volto, l’educazione alla pace, alla responsabilità.

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