Marina Mattarei, prima donna alla guida della Cooperazione trentina: “Dobbiamo ritrovare la bussola”

Parla Marina Mattarei, prima presidente della cooperazione trentina che racconta le sfide della Federazione tra mercato e ideali

“Sento come un brivido l'eredità ideale di Guetti, perchè ho l'impressione che negli ultimi anni si sia persa, anche continuando a citarlo. Hanno sbrindellato la sua tonaca”

“La cooperazione dovrebbe essere apolitica”

Scenderà ogni giorno a Trento dalla val di Sole la first lady, la prima donna alla presidenza della cooperazione in 123 anni. Marina Mattarei, 55 anni, orgogliosa della sua val di Rabbi, venerdì scorso ha vinto al ballottaggio superando di dieci voti Michele Odorizzi (al primo turno c'erano anche Ermanno Villotti, 208 voti, e Piergiorgio Sester, 33 voti).

Presidente Mattarei, la sua elezione nell’assemblea di venerdì è stata una sorpresa per molti. Anche per lei?

Sì, è un risultato assolutamente inaspettato, anche per la dinamica con cui è maturato. Negli ultimi due impegnativi mesi d’incontri c’era la consapevolezza di aver raccolto una buona adesione. Non sono partita con un progetto preconfezionato, si è arricchito nel dibattito. Ho cercato di capire cosa volessero i cooperatori, se credessero ancora in un ruolo della Federazione.

Anche il suo competitor Michele Odorizzi ha parlato di una Federazione uscita coesa dall’assemblea…

Me lo auguro anch'io, nel senso che le proposte sono parse abbastanza analoghe, tanto che molti soci ci hanno chiesto in che cosa ci differenziamo. In tutti i candidati prevaleva il desiderio di costruire, dei distinguo c'erano forse più nelle storie personali. E' positivo che tutti abbiamo cercato di non esasperare i toni, evitando così lacerazioni che poi è lungo ricucire.

Essere donna l’ha favorita in quest’affermazione?

Bisognerebbe chiederlo ad altri. Ho sperimentato e ho sempre detto che in questi percorsi essere donna non aiuta, a meno che questo percorso non corrisponda al disegno di qualcuno che ti ritiene funzionale a un determinato compito, come è stato per me nel 2009 quando fui eletta nel consiglio d’amministrazione della Federazione, e poi nominata vicepresidente. In quel momento c’era  bisogno di una donna per dare un segnale di cambiamento e innovazione. Quando poi una donna arriva lì, è chiamata comunque a dimostrare di essere arrivata per i propri meriti.

Un dato biografico: rabbiesa (della val di Rabbi) o solandra?

Mi sento orgogliosa del territorio solandro, ma le mie radici sono e rimarranno rabbiesi. E' un'identità profonda, come per la valletta di Peio. Anche nel percorso di fusione in ambito di famiglie cooperative siamo arrivati a chiamarle “Vallate solandre” per contemperare queste identità, che non si possono disperdere in virtù di una riorganizzazione aziendale.

Ecco qui la nostra copertina. In che cosa si sente di essere più “erede di don Guetti”? Molti hanno tirato per la tonaca don Lorenzo…

Eh si, direi che l’hanno sbrindellata quella tonaca di don Lorenzo. Sento come un brivido questa eredità, perché ho l’impressione che negli ultimi anni si sia persa. Ormai sentir nominare Guetti è diventato un’insopportabile ridondanza, spesso per strumentalizzazione, e allora il pensiero viene violentato. Invece dobbiamo rifarci al suo pensiero e alla sua testimonianza: un conto è elaborare il pensiero, un conto è incarnarlo. Il mio sogno è poter testimoniare in maniera vera e autentica il pensiero di Don Guetti; lo dico con pudore perchè so che questo s'incardina nell'identità della gente trentina e della sua solidarietà.

In che misura da presidente dovrà aver presente queste realtà, come il Sait in crisi o Risto 3 in boom?

L' anima cooperativa è la nostra fonte ispiratrice. In quanto impresa da un lato e responsabilità sociale dall’altro, dobbiamo pensare alla cooperazione e al movimento.

Per far fronte a quest’aggressività del mercato, che tutti attrae come buco nero, dobbiamo strutturarci non in maniera omogenea, ma caso per caso, analizzando le necessità.

Abbiamo molte cooperative eccellenti che sono in grado di competere, altre non hanno tenuto presenti questi fattori e si sono smarrite nel tempo, come la SAIT, che è uscito dall'alveo, ha perso la propria mission, occupandosi di cose – come la deriva immobiliare – che non lo riguardano. In questi casi non si tratta di crisi momentanee, ma di mala gestio, cattiva gestione..

Sul credito il nuovo governo ha dato segnali preoccupanti, lei cosa dirà a Conte?

Che le questioni vanno approfondite. Non devono modificare strumenti legislativi senza non aver valutato l'eventuale impatto. Il sistema Cassa Centrale ha dimostrato grande capacita organizzativa, cercheremo di andare al confronto col governo, facendo la nostra azione di rappresentanza.

In ottobre ci sono le elezioni, qual è la sua visione rispetto all'autonomia della federazione?

Non ne ho mai fatto mistero: secondo me la cooperazione dovrebbe essere apolitica. Quando la cooperazione a tutti i livelli s’illude che colorandosi con l'interlocutore di turno possa trarne beneficio, avrà un vantaggio nel breve periodo, ma nel medio e lungo periodo questa sarà una grandissima debolezza. Lo si è visto nell'asse Schelfi – Dellai, che da discorso personale è diventato relazione tra movimento cooperativo e Provincia.

Ci saranno molti che cercheranno la sua amicizia…

Questo può starci, non nego la necessità di dover costruire relazioni personali, ma guai se diventa preminente rispetto alla responsabilità individuale.

Lei avrebbe invitato Salvini a Trento?

Qui bisogna tornare alla responsabilità istituzionale, il presidente Fezzi non poteva fare a meno di incontrare gli interlocutori. Se invece si entra in determinati temi politici, allora anche la cooperazione porterà il suo pensiero e la propria visione. La cooperazione non butterà mai a mare gli immigrati… per dire.

Qualcuno ha notato che in sala non c'erano esponenti del mondo cattolico. Il legame non è più così forte?

Non erano previsti rappresentati istituzionali di alcun tipo, neanche politico. Dopo la mia candidatura una delle prime chiamate che ho ricevuto volentieri è stata di don Marcello Farina. Gli ho detto: mi fa piacere che mi incoraggi ma da qualche anno avverto mancanza di sintonia e sinergia con la Chiesa. Avrei voluto da tempo – aldilà dei delegati della Curia – sentire una Chiesa che stimolasse la cooperazione, quando usciva dal suo alveo naturale.

Ho sentito questo deserto di una voce autorevole, capace di accompagnare, riprendere e stimolare la cooperazione e capire cosa sta diventando. Questo aiuterebbe a creare partnership perché stiamo tutti andando alla deriva nell'impianto valoriale che si è sgretolato. Dobbiamo riparlarci per ritrovare una bussola comune, più che immobiliarie o le finanziarie… anche la società civile ce lo chiede. Altrimenti come istituzioni perdiamo autorevolezza o credibilità e la gente ci dice: tanto vale rivolgerci ad un altra banca o un altro supermercato.

Questo è anche compito dei soci?

Certo, servirebbe una ripartenza anche sulla dimensione dei soci che ultimamente si è persa in gran misura. Soprattutto nella cooperazione di servizio, credito e consumo; c' è un’omologazione tra socio e cliente e di conseguenza i soci sono in qualche modo attratti solo dal ragionamento economico e il rapporto mutualistico si falsa. Questo è l'inizio della fine.

Ultima domanda: cosa le piace di più di Papa Francesco?

Credo sia capace di arrivare ai cuori e alle menti di ognuno, indipendentemente dalla fede. È una figura di cui questa società aveva bisogno, anche se alcuni lo attaccano. E' forse prigioniero di troppi avviluppamenti interni. Dovrebbe essere più aiutato nella sua missione per arrivare alla concretezza, perché una figura da sola difficilmente riesce a cambiare le cose.

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