“Facciamo più rete contro la tratta”

Sono migliaia e migliaia le donne che arrivano in Italia con gli sbarchi, inviate dai trafficanti per soddisfare la crescente domanda di prostituzione. Ma l'accoglienza è in tilt, perfino quella delle religiose che lottano contro la tratta. "Stiamo vivendo un'emergenza terribile. Non abbiamo più posti liberi nelle nostre case di accoglienza, dobbiamo creare una rete tra realtà ecclesiali per sostenere queste donne": è il grido di allarme e la richiesta di aiuto di suor Eugenia Bonetti, la religiosa da anni in prima linea nella lotta alla tratta a scopo di sfruttamento sessuale, fondatrice dell'associazione "Slaves no more" e volto noto anche in Trentino.

Suor Eugenia entra ogni settimana, insieme a una quindicina di religiose di diverse congregazioni e nazionalità, nell'ex Cie di Ponte Galeria a Roma, che oggi si chiama Centro di identificazione e rimpatrio. Una struttura dalla fama pessima, che ha visto negli anni numerose proteste di attivisti, giornalisti e dei migranti stessi, finché un incendio ha distrutto una parte dell'edificio. Ora rimane aperta la sola sezione femminile. Recluse fino ad un massimo di 18 mesi, come stabilito dalla legge Bossi-Fini, perché con documenti irregolari, quindi da rimpatriare. Ora sono 120, la maggioranza (65) nigeriane, poi latinoamericane e cinesi. Negli ultimi tempi stanno arrivando anche molte marocchine, ed è la novità. Vengono portate lì appena identificate negli hot spot al momento dello sbarco, in attesa di essere rimpatriate. Altre vengono intercettate mentre si prostituiscono in strada perché non in possesso del cedolino giallo che viene dato ai richiedenti asilo.

Il 20 marzo l'associazione "Slaves no more", Centro Astalli e Comunità di Sant'Egidio hanno firmato un nuovo protocollo con la Prefettura di Roma per continuare a dare aiuto, sostegno e progettualità, offrendo alle donne dell'ex Cie di Ponte Galeria la possibilità di rimpatri volontari assistiti.

Con il progetto “Ritornare per ricominciare” l’associazione “Slaves no more” negli ultimi tre anni ha già realizzato 30 rimpatri assistiti per aiutare le ragazze a reinserirsi in società e a rifarsi da una vita di umiliazioni e sofferenze. In Nigeria le religiose hanno due case di accoglienza a Lagos e Benin city. “C’è bisogno di tanto accompagnamento – dice suor Eugenia -. Non è una decisione facile”. Alcune donne invece, grazie al lavoro di organizzazioni sociali che mettono a disposizione gli avvocati, riescono ad uscire dall’ex Cie e a restare in Italia. Ma rischiano di essere intercettate dai trafficanti e di finire di nuovo in strada.

Alle realtà cattoliche suor Eugenia rivolte un appello, chiedendo per le ragazze recluse nei centri "spazi di aggregazione, corsi di lingue, di danza, per tenerle impegnate". “Ci sono i fondi messi a disposizione dall'Unione europea. Bisogna sedersi intorno ad un tavolo e fare proposte valide e condivise", conclude.

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