Farsa honduregna

Garanzie costituzionali sospese e potere concentrato sempre più in poche mani

Una farsa, se non fosse una autentica, dolorosa tragedia. Le elezioni presidenziali in Honduras sono state un imbroglio compiuto apposta per soffocare sul nascere le aspettative della gente semplice. Un tira e molla durato settimane durante le quali non si veniva a capo di nessuna delle questioni sottese alla chiamata alle urne del popolo honduregno. Se giungere ad una svolta – come nelle aspettative di molti – oppure seguitare sulla strada fin troppe volte tracciata dalle classi dominanti: la legittimazione di un potere usurpato e usurpante; il dominio di poche potenti famiglie che rapinano la ricchezza del territorio; il continuare a vivere in povertà –impoveriti – di vasti strati popolari, lavoratori dei campi sottopagati e operai delle fiorenti industrie di trasformazione in mano alle multinazionali agroindustriali sfruttati nel silenzio e nel ricatto: lavorate (in queste condizioni) o andatevene. Che il Tribunale supremo elettorale abbia ratificato la vittoria dell’attuale presidente Hernandez fa parte del copione e non per caso è stata ribattezzata dai campesinosla puercada”.

Alle elezioni presidenziali del 26 novembre 2017 erano seguite furiose manifestazioni di protesta in tutto il paese e particolarmente a Tegucigalpa, la capitale. Proteste che avevano lasciato sul terreno 17 morti, secondo le fonti ufficiali, però è certo che il malcontento è diffusissimo e le proteste solo momentaneamente sedate. Persino la polizia e le forze di sicurezza hanno manifestato simpatia per la gente, si sono rifiutate di uccidere persone innocenti e inermi e niente di meno dell’unità speciale Cobra, rientrata nelle caserme, ha lanciato un proclama: “Non spareremo al popolo di cui anche noi siamo parte”. Una novità assoluta per l’America Latina dove i militari e paramilitari sono da sempre il braccio armato del potere economico e politico.

Manuel Zelaya, ex presidente dell’Honduras – qualcuno lo ricorderà – era stato estromesso capziosamente dal potere nel 2009, scalzato con la scusa che non avrebbe dovuto ripresentarsi; in realtà un’usurpazione bella e buona per non consentire venissero intaccati consolidati equilibri di potere dei proprietari terrieri. Oggi coordina l’Alleanza nazionale d’opposizione contro la dittatura ed è sicuro che il responso delle urne ha premiato il candidato popolare e cioè Salvador Nasralla che giustamente ha chiesto di ricontare i voti avendo prove dell’inquinamento dei database, dei server e nella stessa trasmissione dei dati all’Ufficio centrale elettorale. Che il solo Stato estero che ha finora riconosciuto ufficialmente il governo golpista siano gli Stati uniti di Trump la dice lunga sulla legittimazione di un presidente che ha dalla sua parte la forza ma non la ragione e si appresta a governare come manu militari dei latifondisti e degli industriali dell’agroalimentare.

Con le garanzie costituzionali sospese, il potere centralizzato sempre più in poche mani e con leggi di carattere prettamente militare che invadono la sfera civile (una specie di stato di guerra) come si può definire oggi l’Honduras se non come una dittatura a tutto tondo, purtroppo? E cosa sarebbe successo – viene da chiedersi – se tutta questa indecente pantomima fosse accaduta in Venezuela o nel Nicaragua di qualche lustro addietro? Sorprende l’imbarazzato silenzio del cardinale Oscar Maradiaga, un salesiano che pur aveva mostrato doti che sapevano andare oltre la diplomazia per arrivare al nocciolo della profezia latinoamericana, la denuncia del sopruso come condizione indispensabile per la stessa credibilità dell’annunzio del vangelo. Di ben diversa parusìa (la libertà di dire parole in scioltezza senza vincoli di prudenza quando è in ballo la stessa dignità di ogni singola persona) il comunicato della Provincia centroamericana della Compagnia di Gesù che si esprime sui dati elettorali con “non il sospetto, ma la certezza di una grossolana manipolazione”. E così va montando la protesta e la coeva pretesa che siano annullate le elezioni e si vada a un nuovo appuntamento con precisi vincoli che tutto si svolga davvero regolarmente con tanto di osservatori internazionali dislocati nei punti nevralgici. Gli indici di violenza in Honduras sono altissimi, assolutamente fuori controllo. Uno esce di casa alla mattina e non vi fa più ritorno, salvo poi essere ritrovato lungo la scarpata di una carretera, straziato e irriconoscibile.

Sono gli oppositori politici che spariscono – desaparecidos – a decine ogni giorno (e la stampa e i media non ne parlano, svicolano, scrivono d’altro per non irritare il potere). Dell’attivista per i diritti umani e ambientalista convinta Berta Càceres, che della battaglia per il rispetto di Madre Terra (Pachamama) aveva fatto una questione per lei di vita o di morte, non si sa più niente e anche la veemente protesta, sorta spontanea nei giorni immediati dopo la scomparsa, va scemando, preludio al triste oblio, come succede di tanti in Centroamerica e in Sudamerica, persi nel buco nero della dimenticanza. Che la vicenda honduregna non sia la triste sequela di quell’oblio.

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