Messico al voto in un clima di violenza

Cinthia Jocabeth Castaneda Alvarado era una ragazzina di 13 anni. E’ scomparsa quasi 10 anni fa, il 24 ottobre 2008 a Ciudad Juàrez nello stato messicano di Chihuahua. Cinthia voleva studiare da infermiera, le piaceva cucinare la tortilla di farina in salsa piccante. E’ sua madre a riferirlo dopo tanto tempo, sua madre che con i fratelli è stata costretta a scappare a Los Angeles, dopo che tutta la sua famiglia era stata minacciata di morte. Juàrez è il municipio con il tasso di femminicidi tra i più alti al mondo; da gennaio sono state assassinate 45 donne, secondo i dati delle stesse autorità messicane attraverso la Fiscalìa General del Estado.

Terra violentissima, il Messico, in cui praticamente accanto allo Stato legale – imbelle e corrotto – esiste e serpeggia, come una tarantola impazzita, uno Stato di tipo illegale parallelo costituito dai tanti cartelli del narcotraffico – fiorentissimo -, che serve soprattutto il fiorente mercato degli Stati Uniti dove la droga scorre e fiumi ed evidentemente trova una domanda inesausta che “attiva” un’offerta che fa a gare per soddisfarla non lesinando violenze di ogni tipo.

Anche la tristissima vicenda di qualche anno fa che aveva visto la sparizione di 43 studenti (avevamo appeso le loro foto nelle nostre classi di scuola, come un ammonimento a non dimenticarli!) è accertato ormai essere frutto di una guerra per bande per il controllo dello spaccio della droga (droghe di ogni tipo, ormai). D’altra parte questo è il solo avvenire concesso ai giovani messicani, lasciarsi sedurre dal narcotraffico che assicura loro almeno 25 dollari al mese. Quale altro destino può essere riservato ad un ragazzo di Guerrero o di Michoacàn, se non un lauto compenso per diventare sicario, una delle “professioni” più appetite in quei territori? Infatti si trovano spesso cadaveri decapitati, vengono scoperte sovente fosse comuni e questo è il segno evidente che ormai lo Stato parallelo illegale e abusivo e violentissimo ha preso il sopravvento sullo Stato legale, complici uomini di governo conniventi in ogni ganglio dell’amministrazione centrale o periferica che sia.

Nelle schede elettorali si registra un’assenza clamorosa che non dico avrebbe potuto stravolgere i risultati elettorali, ma certamente si sarebbe palesata come un simbolo di resistenza per le popolazioni più dimenticate. E’ quella di Marìa de Jesus Marichuy, la candidata dei popoli indigeni. Il meccanismo elettorale truffaldino messicano richiede la raccolta delle firme tramite posta elettronica, e chi l’ha nella selva e nei villaggi indigeni dove non arriva neppure la corrente elettrica?

Fatto sta che oggi in Messico le parole che dominano la scena pubblica sono: sparizioni sbrigative, corpi decapitati, fosse comuni, vigilantes (uno dei mestieri più richiesti dai ricchi a protezione delle loro proprietà) e sovente pure squadre paramilitari (esquadrones de la muerte) che sopperiscono ad una polizia inetta e corrotta. Non un bel vedere, un panorama lugubre nonostante il sole caldo e le spiagge bianchissime per turisti immemori.

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