Primavera berbera

Il Marocco e le rivendicazioni autonomiste dei berberi nella regione montuosa del Rif, dove da tempo monta la protesta contro il governo centrale di Rabat

Paese che vai questioni autonomistiche che trovi, verrebbe da osservare prendendo in considerazione il Marocco e le rivendicazioni dei berberi. Fra incendi e penuria d’acqua in quest’estate italiana parrebbe del tutto velleitario e peregrino, fuorviante, concentrare l’attenzione sul Marocco e dintorni. Ma chi ha frequentato per un breve tratto quelle popolazioni conosce la bellezza di quei paesaggi, l’ostinazione marmorea di quella gente che vive accontentandosi di poco con la pastorizia e prendendo alla terra il nutrimento carpendone quel poco necessario per vivere. Vedere bambine e bambini che macinano chilometri con il loro zaino in spalla per andare a scuola richiama a scene d’altri tempi e svela in tutta evidenza la tenacia di un popolo che vuole, desidera, aspira di affrancarsi dal sottosviluppo. Osservare donne che lavorano nei campi –coltivano, dissodano, mettono a dimora, piegate e mai dome- e poi in piccoli laboratori artigianali portano a frutto l’olio di Argan, balsamo lenitivo e cosmetico, sperimentando forme inedite, per loro, di cooperazione che è pure una vicinanza reciproca, un uscire dalla sudditanza del potere maschile, beh, tutto questo è aria pura per i polmoni del visitatore, questo constatare la possibilità che le buone intenzioni esistono e anche la loro messa in pratica quotidiana nella tenacia del carattere femminile.

Ora – in queste settimane – a fare notizia in Marocco (si spera con qualche risonanza altrove, in Europa) è la questione della regione montuosa del Rif, dove da tempo sta montando la protesta contro il governo centrale di Rabat.

Montagne alte, a tratti inaccessibili, brulle, deserte. La presenza di micro-insediamenti umani lascia di stucco: come fanno quelle famiglie a viverci? E poi Tangeri, la “mitica” città cara a certa letteratura esotica di scrittori alla ricerca dell’Eden (dicono vi si produca la miglior marijuana e un hashish di qualità eccelsa, dicono).

E, soprattutto, in questi ultimi mesi, la protesta di giovani donne, integre, irriducibili, sventolanti bandiere al vento. Una donna di 23 anni – poco più di una ragazza, ma in questi posti si cresce in fretta! – Salima Ziani, conosciuta nel mondo della musica marocchina col nome di Sylva che è rinchiusa in un carcere di massima sicurezza e sta portando avanti un duro sciopero della fame. E un’altra donna, Nawal Ben Aissa, di 36 anni, casalinga, quattro figli bambini e adolescenti e un marito taxista che la sostiene. Lancia un proclama, Nawal: “Faccio appello a tutti i marocchini, lo stato ci opprime, i nostri diritti vengono calpestati, possono arrestare chi vogliono ma noi non ci fermeremo”.

E’ un clamoroso risveglio femminile che non riguarda solo la regione berbera, ma il Marocco nel suo insieme. E’ ben vero che le donne marocchine sono da tanti anni la colonna portante dell’economia familiare domestica, sono attive nelle cooperative agricole, non sono certo assenti e silenti. Le abbiamo incontrate, di una forza d’animo incredibile. Ma stavolta sembra esserci qualcosa in più se è vero che lo stesso sovrano del Marocco, il re Mohammed VI, si è detto allarmato, ha in qualche modo sconfessato il governo, troppo sordo e lento, paventa la possibilità di un ribaltamento generale, perché se è noto che la sua figura (la sua effige è collocata, in bella evidenza, in tutti gli uffici pubblici, negli hotel e ristoranti, ovunque) è in qualche modo ben voluta e ossequiata, non bisogna neppure dimenticare un certo spirito anarchico capillarmente diffuso e che fa presa specie tra i giovanissimi, allergici ad ogni tipo di “autorità”.

Insomma, in quel paese che era stato appena lambito dal clima delle cosiddette primavere arabe, adesso si fa largo una nuova protesta e sono le donne a condurla, col velo o senza velo, vestite all’occidentale o ligie all’osservanza tradizionale. Non importa. Non è questo che conta –osservano con orgoglio -, quel che vale è dare spazio a parole non dette o sussurrate sottovoce, come libertà, dignità, giustizia dando loro, a queste parole, concretezza quotidiana. Impresa immane, come una montagna dell’Atlante da andarci su, da scalare. Loro, queste donne orgogliose e coraggiose, ci credono.

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