“Siria, anche noi al tavolo della pace”

Hsyan Abd El Rahim, autorevole esponente della comunità siriana rifugiata in Libano, è in Italia per promuovere la causa della sua gente. I lettori di Vita Trentina già lo conoscono…

"Ai tavoli delle trattative siede chi ha interessi economici e politici sulla Siria. Noi, vere vittime della guerra, possiamo solo scegliere come morire in silenzio. Ma nel rumore assordante delle armi rivendichiamo il diritto a far sentire la nostra voce”. Hsyan Abd El Rahim, insegnante siriano di Homs riparato in Libano e autorevole esponente della comunità siriana riparata nel Paese dei cedri, scandisce le parole nella Sala stampa della Camera dei Deputati. E’ a Roma grazie al lavoro paziente di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che dal 2013 opera in alcuni campi profughi del Libano al confine con la Siria, per illustrare ai rappresentanti del Parlamento italiano la Proposta di pace per la Siria elaborata dagli stessi profughi siriani.

Mentre in Siria si alza nuovamente la temperatura del conflitto che dal 2011 insanguina il Paese, con prove muscolari di guerra aerea tra Russia e Stati Uniti che potrebbero portare a un’ulteriore pericolosa escalation, da Roma si leva la richiesta di chi quella guerra non l’ha voluta e non la vuole, ed è scappato proprio per non uccidere e per non farsi uccidere.

“E’ paradossale – osserva Alberto Capannini, fondatore dei Corpi di Pace dell’Operazione Colomba – che discuta del futuro della Siria proprio chi la sta distruggendo, sta uccidendo i civili, sta bombardando le sue città. Ci vogliono voci diverse, come quelle dei profughi scappati dalla Siria per non uccidere e non essere uccisi e che chiedono soltanto di poter tornare nelle proprie case in sicurezza, protetti da una presenza internazionale”.

La proposta dei profughi siriani, presentata nel novembre dello scorso anno al Vice Presidente dell’Unione Europea Frans Timmermans e nel marzo di quest’anno a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma portata anche da Capannini giusto un anno fa alla 32a Sessione Diritti Umani dell’Onu a Ginevra, si apre con due parole – “Noi siriani” – e verte su pochi punti concreti, da attuare immediatamente, ma offre anche una prospettiva per così dire politica per il futuro della Siria.

Si chiede in primo luogo la creazione di zone umanitarie in Siria, territori neutrali rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale, sul modello della Comunità di Pace di San José di Apartadò in Colombia, dove operano da tempo i volontari dei Corpi di Pace di Operazione Colomba. Ancora, che siano aperti corridoi umanitari per portare in sicurezza i civili in pericolo; che si fermino i bombardamenti e cessi il rifornimento di armi; che si ponga fine all’assedio di decine di città e che si dia assistenza umanitaria ai loro abitanti, oggi senza cibo e senza medicine. La volontà di combattere terrorismo ed estremismo, recita inoltre la proposta, non deve però fare di civili innocenti e disarmati un obiettivo.

Solo questi passi potranno portare a una soluzione politica e alla creazione di un Governo di consenso nazionale “che rappresenti tutti i siriani nelle loro diversità e ne rispetti la dignità e i diritti”, ritengono i proponenti della proposta-appello – tutti profughi nel nord del Libano, riuniti in organizzazioni e associazioni, semplici cittadini e famiglie scampati alla morte e alla violenza.

“Queste persone – osserva l’on. Michele Nicoletti (Pd), Presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo dove già la settimana prossima si farà portavoce della Proposta di pace dei profughi siriani – in tutti questi anni di guerra non hanno mai smesso di sperare nella pace, hanno continuato a lavorare per portare, pur in mezzo a tanta violenza, un messaggio di speranza”. L’Italia, assicura Nicoletti, si adopererà per attivare tutti i canali diplomatici, sia a livello nazionale che a livello europeo, per sostenere dei negoziati di pace “in cui non ci siano solo le grandi potenze, ma anche i protagonisti della società civile siriana”.

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