La guerra dei droni

Ne ha discusso il tradizionale appuntamento di Isodarco, ospitato ad Andalo

Cresce l'importanza strategica dei droni in ambito militare (per azioni di ricognizione e di attacco). A provarlo sono gli stanziamenti: nel 2016 gli Stati Uniti, detentori di un arsenale di circa 10.000 droni di vari tipi e dimensioni, hanno stanziato 2,9 miliardi di dollari per i droni. Anche l’Italia ne è dotata: 7 droni MQ-1C Predator A+ e 6 MQ-9 Predator B Reaper, modello per il quale ha chiesto agli USA le attrezzature da combattimento.

I problemi posti dai droni armati non sono di natura tecnica né militare. Costano relativamente poco e non mettono a repentaglio la vita dei piloti, come i bombardieri, essendo guidati a migliaia di chilometri di distanza. I problemi, piuttosto, sono giuridici, morali e politici, come ha evidenziato il seminario internazionale, promosso a Roma alla fine di novembre dello scorso anno da Rete Disarmo e Iriad – Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, su questi nuovi strumenti di guerra.

Di armi autonome, oltre che di minacce informatiche, si è occupato quest'anno il tradizionale appuntamento di Isodarco, la International School on Disarmament and Reserch on Conflicts, braccio formativo delle Conferenze Pugwash su scienza e affari mondiali (organizzazione fondata dal fisico Albert Einstein e dal filosofo Bertrand Russel nel periodo della guerra fredda e insignita nel 1995 del Premio Nobel per la pace). Abbiamo chiesto a Mirco Elena, fisico, ricercatore, pubblicista, responsabile della sezione trentina dell’Unione degli scienziati per il disarmo (USPID) e direttore dell'Ufficio di Trento di Isodarco, di tracciarne un bilancio.

I lavori di Isodarco, svoltisi anche quest'anno ad Andalo, dall'8 al 15 gennaio, hanno trattato delle minacce informatiche e del delicato problema delle armi autonome. Se il primo aspetto è piuttosto noto, anche per la grande enfasi avuta dalle intrusioni di pirati cibernetici nei dati del partito democratico durante la recente campagna elettorale Usa, assai meno conosciute sono le prospettive di un sempre più spinto uso dell'automazione nel settore militare, ma non solo nel senso di sviluppare robot e apparati comandati a distanza (come gli attuali droni, gli aerei senza pilota usati estesamente in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Palestina), ma addirittura di avere sistemi che cercano, individuano e ammazzano il nemico senza alcun intervento di operatori umani.

Già da oltre un decennio gli studi in questo settore sono frenetici. Solo gli Usa, nel periodo 2009-2014 hanno investito l'enorme cifra di 18 miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo di tali armi. La prospettiva di poter fare una guerra coinvolgendo sempre meno i propri soldati in situazioni di grande rischio è vista molto bene in tutti quei paesi, Usa in testa (e in Italia?), dove la popolazione mal sopporta l'idea di sacrificare i propri giovani in un conflitto. Sarebbe certo un passo avanti nella millenaria storia delle guerre se queste potessero vedere solo lo scontro di macchine e non lo spargimento di sangue umano, ma le cose non sono così semplici; bisogna infatti tenere presente che le armi autonome presentano grossi problemi. Tra questi, gli inevitabili errori presenti nei programmi software che le gestiscono, e le conseguenti questioni di responsabilità. Se l'arma autonoma uccide per sbaglio un civile o un nemico che si è arreso, di chi è la colpa? Se il drone è programmato per colpire il nemico più odiato, e proprio solo lui (diciamo l'Osama bin Laden degli anni passati, cosa oggi resa possibile dall'identificazione automatica dei volti), ma questo si trova circondato dai bambini di una scuola, e non dai suoi accoliti, riuscirà la nostra arma intelligente a discriminare i due casi? E se hacker nemici interferiscono con l'arma e la fanno rivolgere contro chi l'ha lanciata? E se dei terroristi ne vengono in possesso e la utilizzano per attacchi contro inermi popolazioni civili delle nostre città?

Non si trascuri poi il fatto che se gli eserciti giungessero a poter schierare truppe robotizzate, per i rispettivi governi potrebbe risultare molto più facile decidere di iniziare una guerra, che però nessuno garantisce che si limiterebbe a vedere lo scontro di automi, potendo facilmente espandersi e coinvolgere persone e città.

Questi sono solo alcuni esempi dei problemi che si aprono in questi anni di “progresso” tecnologico nel settore militare. Capiamo quindi il motivo per cui individui e organizzazioni stanno tentando di rallentare e anche bloccare queste attività. Citiamo tra le altre la campagna “Stop Killer Robots”, che si ispira ad analoghe campagne che negli anni passati sono riuscite, operando dal basso, dalla società civile, in imprese a tutta prima considerate disperate, come bandire le mine antiuomo. Ma altri esempi, anche più “istituzionali”, non mancano, come il bando preventivo emesso contro l'uso bellico dei laser accecanti. Il futuro ci dirà se questi tentativi avranno o meno successo.

Per finire vogliamo ricordare come Isodarco (iniziativa assolutamente volontaristica) abbia appena compiuto i cinquant'anni di continua attività, in Trentino, in Italia, in Europa e nel mondo. Questo bel traguardo è stato segnato da due riconoscimenti prestigiosi giunti agli organizzatori. Nel giugno scorso una lettera di congratulazioni firmata di pugno da Barack Obama (caso molto raro per iniziative italiane e ancor di più trentine). Inoltre, proprio durante il corso appena concluso, il Presidente della Repubblica italiana ha assegnato una speciale medaglia. Complimenti a Isodarco e… buona continuazione!

Mirco Elena

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