“Mi hai insegnato a…”

È un’esigenza del cuore ed è umanamente significativo e anche liturgicamente previsto che al termine (non dopo la Comunione!) del rito delle esequie, in un funerale “possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto” (non 17 interventi, come mi è capitato, e neppure discorsi più lunghi dell’omelia…). “Un testo – dice ancora il rituale – precedentemente concordato”! Per altri interventi civili, amicali e di gruppo si debbono trovare altri momenti; la liturgia non “sopporta” intrusioni che non esprimono la fede e la preghiera. Inoltre tali parole non vanno mai pronunciate dall’ambone, luogo riservato alla Parola di Dio e alla sua spiegazione e preghiera.

In tali occasioni – ne abbiamo sentite ormai tante e tutti lo possiamo costatare – troppe volte ci si ferma a ricordare e a ringraziare per cose di poco conto: “Mi hai insegnato ad andare in bicicletta, ad andare per funghi …”. Qualche volta di più sarebbe bello, ma è raro, sentire: “Mi hai insegnato a credere, a pregare, a dire il Padre nostro, ad andare in Chiesa, ad amare gli altri, a perdonare, a servire…”. Allora, sì il saluto è veramente cristiano; allora sì rendiamo grazie a Dio per la vita di quel fratello e di quella sorella. Altrimenti facciamo solo sentimentalismo o peggio si arriva persino ad affermazioni che nulla hanno in comune con la fede cristiana, con le preghiere pronunciate insieme, con la Parola di Dio proclamata. Addirittura a volte, in netto contrasto con quanto si sta celebrando, si afferma tranquillamente il contrario della verità che si sta compiendo in quella morte che la fede in Cristo risorto fa aprire alla Vita oltre la vita. Quanto è bello ricordare che una persona, come Gesù, è passata insegnando e facendo del bene.

dongi

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