Incartati

Chi pensava che il voto per il referendum potesse sbloccare il paese dovrà ricredersi: la situazione che si profila è quella di un sistema incartato, dove quasi tutti mentono sulle loro reali intenzioni perché l’unica preoccupazione è come stracciare gli avversari. Del futuro del paese si fanno carico in pochissimi.

Vediamo di mettere un po’ d’ordine nell’analisi. L’esito del voto è stato al tempo stesso chiaro e confuso. Da un lato si è capito che la maggioranza di questo paese teme il cambiamento. L’improvvisa ventata di amore per la nostra Carta è dubbia, in quanto non di cambiare la Carta si trattava, ma solo di rivedere il meccanismo istituzionale con cui si potevano raggiungere gli obiettivi ideali che essa ci pone. Ha prevalso il lascito di vent’anni di scriteriate campagne antiberlusconiane in cui si è combattuto al grido di difendiamo la costituzione e blocchiamo l’uomo solo al comando: per nemesi storica quella cultura si è ritorta contro un leader della sinistra. Poi naturalmente c’era l’antipatia per un personaggio che aveva scommesso sulla sua capacità di battere il populismo scendendo sul suo stesso terreno propagandistico. Non è stato un fattore secondario e Renzi farebbe bene a riflettere sulla sua ingenuità nel seguire i consigli di chi lo spingeva su quella via sdrucciolevole.

Il fatto è che il cartello del no non esprime una linea politica, ma un coacervo di rancori e di illusioni: esso non ha elaborato alcuna strategia per gestire il suo successo e forse non poteva farlo proprio perché assembla forze poco omogenee (e in parte non piccola anche poco “politiche”). Dunque adesso tutti sono prigionieri di una situazione che non si sa come sgarbugliare.

Renzi non può rimanere al governo perché farebbe la figura di chi è attaccato alla poltrona senza poter combinare gran che visto che ha contro le opposizioni confortate dal successo del voto e anche una parte almeno del suo partito. Una alternativa parlamentare non esiste, perché la legge elettorale ha assegnato al PD una posizione di maggioranza alla Camera e non c’è possibilità che M5S, Lega, Forza Italia, estrema sinistra e altri partitelli del no si mettano d’accordo per fare un proprio governo.

Quasi tutti affermano che l’unica soluzione a questo punto è andare al più presto alle urne. Probabilmente molti mentono, nella consapevolezza che tanto quella è una soluzione difficilissima, perché per votare ci vorrebbe comunque una nuova legge elettorale per Camera e Senato. Togliamo di mezzo l’argomento che tutto si rallenta perché si deve aspettare la decisione della Consulta sull’Italicum a partire dal 24 gennaio. Nulla impedisce che il parlamento, se può e vuole, faccia una nuova legge diversa dall’Italicum, il che farebbe immediatamente decadere i ricorsi davanti alla Corte Costituzionale. In sé, volendo, dal 15 dicembre al 20 gennaio ci potrebbe essere il tempo tecnico per farla, ammesso che ci fosse una reale disponibilità a mettersi d’accordo (ma questa manca del tutto).

Dunque si dovrà attendere e non si sa per quanto tempo, visto quanto sono rissosi i gruppi parlamentari. Nel frattempo però ci sarebbero questioni molto importanti da gestire: rapporto con l’UE, questione delle banche, gestione migranti, post terremoto, solo per citarne alcune. Ci possiamo aggiungere un contesto internazionale complicato (avvio della presidenza Trump, elezioni in Francia e poi in Germania, anche qui solo per richiamare qualcosa). Tutta roba che richiederebbe un governo almeno un minimo autorevole, il che non dipende solo da chi saranno i suoi membri, ma anche dal sostegno parlamentare di cui potrà godere. Qualcuno immagina che ci sarà mentre ci si prepara alla seconda puntata del confronto malamente gestito in occasione del referendum?

Mentre scriviamo le anticipazioni parlano di una proposta di Renzi di fare un governo di larghe intese, perché tutti si assumano l’onere della gestione di questo difficile passaggio e perché siano costretti a lasciare l’esecutivo fuori dallo scontro pre-elettorale che partirà subito. Sulla carta sarebbe una buona soluzione, che però richiederebbe un presidente del consiglio di alta reputazione e di grandi doti politiche, capace di tenere in riga i suoi ministri. Al momento, ma certo è un limite di chi scrive, non sapremmo immaginare chi potrebbe essere, considerato ovviamente che dovrebbe essere accettato da tutti e garantire di far il Cincinnato che terminato il suo compito lascia il campo (i precedenti non vanno in questa direzione …).

Ad essere onesti non ci pare proprio che l’avventura referendaria sia servita a consolidare il nostro sistema costituzionale.

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