La politica nel pantano

Il governo non riesce a darsi una linea politica credibile. Dopo l’episodio patetico del decreto su Genova, il teatrino di negoziati sulla legge finanziaria

E’ difficile essere ottimisti di fronte allo spettacolo che sta offrendo la nostra classe politica, tanto di governo quanto di opposizione. L’unica cosa che le unisce è la confusione totale in cui si stanno muovendo.

Il governo non riesce a darsi una linea politica credibile. Dopo l’episodio patetico del decreto su Genova colle sue prescrizioni “salvo intese” che ne sottolineavano l’inconcludenza, è arrivato il teatrino di negoziati sulla legge finanziaria dove ciascuno cerca solo di portare a casa la sua bandierina cascasse il mondo. Tutto perché le due anime della coalizione non possono rinunciare a farsi concorrenza a base di reclami sulla priorità dei loro slogan: perché definire flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della Fornero e roba simile come un progetto di governo è impossibile. I soldi non ci sono, le misure immaginate sono vaghe e utopistiche, eppure né Di Maio, né Salvini possono rinunciare a mettere il loro cappello su una riga del bilancio che dica che la riforma sbandierata in campagna elettorale si farà.

Non ci si ferma neppure davanti alla messa in discussione del ministro Tria che pure rappresenta la garanzia dell’Italia davanti ai mercati finanziari internazionali. Per la verità non è chiarissimo il gioco delle tre carte che è in atto fra la Lega e i Cinque Stelle. Salvini, che ha una sua visione politica più matura al di là delle sceneggiate che fa a pro delle telecamere, sembra avere un atteggiamento più prudente sulla gestione del fronte finanziario (merito anche di Giorgetti che conosce questa materia), mentre Di Maio scalpita e parla a sproposito, probabilmente irritato dalla scarsità di risultati che può esibire.

I sondaggi per ora non mostrano incrinature nel consenso che raccoglie l’alleanza giallo-verde, ma se i mercati finanziari ci mettessero in difficoltà non è certo che si tratti di una fedeltà granitica. Del resto fra le classi dirigenti crescono i dubbi circa i prezzi che si debbono pagare per l’abitudine a sbandierare obiettivi impossibili (per esempio le pensioni minime a 780 euro mensili) e questo alla lunga qualche effetto lo può avere. Altrettanto si dica per la pessima gestione della ricostruzione del viadotto Morandi a Genova, dove le tensioni fra chi è consapevole della complessità dei problemi (alcuni politici del centrodestra) e chi crede che sia tutta una questione di “vaffa” (alcuni politici grillini) stanno facendo emergere le contraddizioni di un’alleanza varata solo sul desiderio di arrivare ad ogni costo al governo.

Certo Salvini ha un vantaggio non da poco su Di Maio: può tenere aperto, sia pure a fatica, il vecchio forno del centrodestra. Lì non ha da temere un Berlusconi in fase decadente, soprattutto ora che i sondaggi gli assegnano più del triplo dei consensi rispetto a Forza Italia.

Il Capo politico dei pentastellati invece non ha alternative al governo con la Lega, perché il PD è in condizioni tali da non poter costituire una soluzione al problema, anche ammesso che fosse disponibile a giocare quella partita. I democratici sono preda delle loro lotte intestine e non è lontano dal vero Calenda quando dice che più che di un leader avrebbero bisogno di uno psichiatra. Fra congresso che non sanno come gestire e campagna per le Europee che non riescono ad avviare se non sotto il segno della confusione totale quel partito non è in grado di fornire una sponda al M5S nel momento in cui abbandonasse l’alleanza colla Lega.

In queste circostanze dobbiamo rassegnarci ad una fase di incertezza politica che durerà ancora a lungo. Per quanto siano funamboli delle parole, i due vicepremier faranno fatica a trovare la famosa “quadra” che consenta loro di affermare decentemente che hanno almeno avviato il processo riformatore che hanno promesso. Non potranno però neppure far saltare il banco, cioè il governo attuale, perché la loro credibilità finirebbe travolta con esso. Dunque sono condannati a tirare avanti, senza neppure poter disporre di un presidente del consiglio che possa agire al tempo stesso come parafulmine e come garanzia verso il contesto dei poteri interni e internazionali.

Non ci vorrà molto per vedere quale strategia d’uscita sarà escogitata per trarsi d’impaccio. Sostanzialmente entro fine ottobre la manovra economica va definita ed è con quelle cifre che si dovranno fare i conti. In tutti i sensi.

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