Soluzioni transitorie?

L’avvio del nuovo governo Gentiloni è stato accolto in complesso con grande scetticismo. In genere si riconoscono le qualità del nuovo premier, ma il suo governo appare una replica di quello precedente e per di più è sospettato di essere sotto la tutela diretta di Renzi che gli avrebbe piazzato persone sue per controllarlo.

A noi la realtà sembra più complicata. Si sottovalutano infatti due aspetti, per nulla irrilevanti. Il primo riguarda la necessità di dare all’estero un segnale di stabilità e di continuità dopo l’esito certamente spiazzante del referendum. Le opposizioni, sia esterne sia interne alla maggioranza, hanno contribuito con scarsa lungimiranza a diffondere la sensazione che si fosse davanti ad un sollevamento popolare contro il nostro attuale sistema politico, il che significa semplicemente far credere che l’Italia sia ormai un paese allo sbando.

Il Quirinale era consapevole del problema e per questo ha imposto una grande accelerazione dei tempi di gestione della crisi il che comportava come conseguenza una sostanziale conferma dell’assetto del passato governo. Per chiudere in fretta, e per di più in presenza di una pressione populista che aveva toni catastrofici nel descrivere la situazione, non c’era alternativa se non in sostanza confermare che il lavoro fatto dal governo Renzi non sarebbe stato buttato a mare.

Temiamo che nel furore iconoclasta di questa fase si dimentichino le molte cose rilevanti che erano state fatte da quel governo e non si capisca che erano state cose molto apprezzate all’estero, dove Renzi era sembrato un premier capace di fare, al contrario di una certa tradizione nostra alla mediazione continua che finisce in nulla. Per evitare che si credesse che il lavoro svolto veniva vanificato non c’era prova migliore che confermare sostanzialmente la compagine che lo aveva prodotto, anche a costo di chiudere un occhio su qualche elemento non completamente all’altezza del compito.

Da un altro punto di vista rinnovare largamente la compagine ministeriale avrebbe aperto una serie di lotte intestine all’interno dei partiti della coalizione non solo con rallentamento dei tempi, ma col rischio di non venirne a capo. Lasciando sostanzialmente le cose come stavano, salvo pochi ritocchi, si è evitata la trattativa estenuante su a chi tocca fare cosa.

Questo è un aspetto rilevante anche per tenere a bada le mille fibrillazioni interne al PD, che è l’asse portante di tutta l’operazione. Gentiloni è un politico navigato e lo si è visto da due fatti: 1) ha cercato di imbarcare comunque nel governo il maggior numero possibile di “anime” del suo partito; 2) non si è spaventato per l’esiguità della maggioranza disponibile al senato, rifiutando l’imbarazzante stampella dei verdiniani nella convinzione che una maggioranza sempre sul filo della dissoluzione costringe tutti a stare al gioco.

Certo c’è la questione di qualche presenza renziana molto ingombrante, almeno sul piano dell’immagine. Ciò dipende dal fatto che nell’imminenza di un complicato congresso di partito Renzi non poteva accettare di essere l’unico capo corrente che non era capace di imporre i suoi uomini (e donne). Ha ottenuto il risultato d’immagine per sé al prezzo di appannare quella del premier, il che non sappiamo quanto gli giovi, visto che il suo problema principale in questo momento è sbarazzarsi dall’immagine del “bulletto” che si è lasciato cucire addosso (operazione che ha attivamente agevolato). Se poi Maria Elena Boschi e Luigi Lotti siano davvero in posizione di servire alla sua battaglia sarà da vedere. In un governo di transizione conta più la capacità di portare idee e visioni che attirino consensi per il futuro che gestire un po’ di sottogoverno (quello, quando si ha a disposizione un orizzonte temporale ristretto, non consente di capitalizzare i successi eventualmente ottenuti).

Se Gentiloni riuscirà ad assolvere il compito che gli è stato assegnato lo si vedrà sul campo. Lavorare in un clima avvelenato dall’esaltazione populista che interpreta il risultato referendario come una specie di Armageddon non sarà facile, ma è probabile che il paese si stanchi presto di queste fiammate retoriche e cominci a ragionare sui gravi problemi che abbiamo davanti. Allora un politico senza infatuazioni da rivoluzione globale come è Gentiloni potrebbe guadagnare un consenso che oggi non è prevedibile, soprattutto se saprà sfruttare la presenza nella sua quadra di un certo numero di personalità che sanno lavorare bene e sodo. Non è garantito, ma è possibile.

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