Tattiche poco comprensibili

Siamo sempre lì, alla telenovela infinita delle manovre sulla futura legge elettorale. Prima sembrava che ci fosse spazio per un’intesa fra PD e M5S; poi si è passati ad un presunto asse Salvini-Renzi; da ultimo siamo alla proposta d’intesa Berlusconi-Renzi. Da ultimo si fa per dire, perché non c’è certezza che nel momento in cui sarà letto questo articolo non si siano fatti altri passi in altre direzioni.

La sostanza è che si sta cercando, ma l’abbiamo già scritto più volte, l’introvabile pietra filosofale di un sistema elettorale che risolva da solo i problemi del paese. In quest’ultima fase il ragionamento sembrerebbe ruotare intorno ad un problema contraddittorio in sé, cioè se sia opportuno lasciar fare la legge di bilancio ad un governo in scadenza con la prospettiva che a metterla in pratica sarà un nuovo governo di cui non si è in grado di prevedere le fattezze, oppure se non sia troppo rischioso affrettare il ricorso alle urne con la funerea previsione che da esse esca un parlamento così disastrato da non essere in grado di promuovere alcuna legge di bilancio decente.

In questi ultimi giorni sembrerebbe prevalere la tesi di arrivare il prima possibile allo scontro elettorale per fare un po’ di chiarezza su come andrà a finire. Con argomenti diversi sembra che su questa strada si incamminino tutti i partiti maggiori. Fanno eccezione ovviamente i partiti più piccoli e recenti per cui le urne rappresentano il classico salto nel buio: non solo nel caso che passasse uno sbarramento al 5% sul modello tedesco, ma anche in quello del più modesto 3%, soglia sotto la quale è molto difficile si scenda.

Il problema è però ancora una volta quale sistema elettorale convenga adottare. L’ultima trovata di Berlusconi è l’innamoramento per il sistema tedesco, ma quello “originale”. Non sappiamo chi glielo abbia illustrato, ma certo era persona che non aveva buone conoscenze di storia della Germania post 1945. In quel caso infatti avrebbe saputo che si tratta di un modello in crisi, perché era stato inventato nel dopoguerra per ridurre i partiti a due maggiori (CDU ed SPD) con una piccola ed ondeggiante propaggine (il liberali, FDP), mentre dagli anni Ottanta in poi la capacità di esclusione della clausola di sbarramento al 5% è venuta meno, i partiti sono cambiati, e oggi la Germania di partiti ne ha almeno cinque o sei, e soprattutto non riesce a formare una maggioranza omogenea se non col modello della “Grande Coalizione”.

Inoltre il sistema tedesco, che è piuttosto complesso, unisce voti di lista e voti al candidato (e possono anche essere disgiunti): un panorama che vediamo difficile adottare in Italia.

Sul fronte contrapposto la proposta “maggioritaria” del PD ha la sua debolezza nel non disgiungere il voto per la scelta del 50% dei candidati da eleggere nei collegi uninominali (a turno unico, dove dunque si può anche vincere con percentuali modeste se la frammentazione è grande) con il voto per il 50% dei candidati da scegliere con criteri proporzionali, sicché alla fine diventa un pasticcio organizzativo per i partiti e per gli elettori.

Certo la gente non si appassiona per queste tecnicalità, che non sono semplici da cogliere neppure per chi ha un certo livello di conoscenza dei meccanismi politici, ma ciò costituisce un handicap di cui i partiti sembrano non rendersi conto. Infatti di fronte alla difficoltà di comprensione delle fumisterie sul contemperamento di rappresentanza e governabilità è facile che gli elettori reagiscano o ripudiando la partecipazione (l’astensionismo continua ad essere un grosso problema) o accettando per buone le panzane ideologiche con cui si combatteranno le elezioni in tempi di populismo: è tutto un inciucio, bisogna optare per mandare a casa i corrotti, difendiamoci dalle invasioni dei migranti, sbarazziamoci dell’euro e via elencando.

Il tutto senza contare che siamo in un contesto in cui dall’estero non si guarda con grande favore all’Italia, che sembra un paese poco affidabile e incapace di uscire da un retaggio di lotte di fazione che, non dimentichiamolo, molta cultura superficiale che circola in quei paesi ritiene una caratteristica storica del nostro paese.

Disarmare gli animi e stabilizzare in senso ragionevole l’opinione pubblica dovrebbe essere l’obiettivo comune di forze politiche responsabili, ma non sembra obiettivo condiviso: non dai partiti populisti, non dai media che lucrano con l’eterna storiella del “dagli all’untore”, forse neppure da quote delle classi dirigenti che tutto sommato credono che in una politica confusa sia più facile trovar la strada per portare a casa qualche vantaggio per i propri interessi.

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