Un paese da risanare

La politica è in una strana situazione. Sul fronte governativo si registra una specie di grande bonaccia. Lasciate perdere qualche scivolata tipo la vicenda del ministro Poletti, che peraltro nessuno vuol sfruttare veramente se non per qualche dichiarazione di fuoco a pro dei media: nel complesso il governo Gentiloni funziona. Certo non tutti i ministri sono egualmente all’altezza della situazione, ma i nodi sensibili (Interni, Difesa, Economia, Infrastrutture) sono ben presidiati e il premier sa come si lavora senza squilli di tromba, ma facendosi apprezzare.

Sul fronte opposto, quello dei partiti c’è invece un gran subbuglio. Il tema è quello solito, se convenga o meno andare alla prova elettorale, ma anche quando e soprattutto come farlo. Da un lato quasi tutti vorrebbero arrivare alla prova che stabilisca finalmente quale sarà la geografia politica ala cui si potrà affidare il lungo e certo non indolore processo per far uscire l’Italia dalla sua crisi. Dall’altro lato quasi tutti temono quell’appuntamento, perché nessuno è in grado di prevedere come si andrà a finire. Certo a parole abbondano quelli che invocano le urne, da Salvini, a Grillo, ai renziani, come altrettanto a parole ci sono altri che invocano prudenza (Berlusconi, Alfano, ecc.). In realtà oggi come oggi nessuno è in grado di capire come si evolverà la situazione e dunque vorrebbero la botte piena (le elezioni) e la moglie ubriaca (il rinvio del momento della verità).

Quando i lettori avranno in mano questo articolo probabilmente si saprà come si è orientata la Corte Costituzionale sulla questione dei referendum promossi dalla CGIL. Da quella decisione si potrà forse intuire se la Consulta intende o meno sottrarsi a quel ruolo di supplenza politica che molti vorrebbero attribuirle. La speranza è che i giudici costituzionali scelgano di smarcarsi perché in questa confusione non c’è davvero bisogno di compromettere il ruolo di un ente di garanzia giuridica come è la Consulta assegnando a lei il compito di gestire i nodi politici.

In ogni caso la situazione dentro i partiti è così complicata che ci si chiede come possano contribuire ad un processo di stabilizzazione del quadro che da tanti punti di vista appare necessario, non fosse altro per la presenza di alcune criticità pesanti: non solo la ben nota questione della disoccupazione, ma la crisi delle banche, la situazione internazionale instabile, il fronte UE in situazione difficile. Certo Gentiloni può ritagliarsi spazi di manovra in questo caos, persino in rapporto a Renzi assorbito dal problema di governare il suo partito e di gestire il percorso verso le elezioni, ma in questo clima gli mancherà l’autorevolezza necessaria per essere davvero protagonista sulla scena interna e internazionale.

L’enigma Grillo continua a preoccupare tutti, perché M5S sembra saldamente in possesso della sua cospicua quota di sostegno elettorale che nulla scalfisce: non i pasticci romani, neppure la recente figuraccia a livello europeo. Il fondatore ha dalla sua parte la risorsa tipica di tutti i movimenti radicaleggianti: non potete giudicarci, perché noi siamo “altro” e voi non capite. E’ questo il verbo che blinda la fede dei militanti e che tiene insieme un elettorato che è più alla ricerca della “protesta” contro il sistema che di una qualsiasi proposta in positivo.

Salvini e la sua Lega sembrano invece circoscritti in una specie di riserva indiana: hanno un consenso non certo modesto, ma non hanno strumenti per incrementarlo in maniera significativa. Di qui la radicalizzazione continua delle posizioni e degli slogan con una sovraesposizione mediatica del leader che non si sa quanto sia di giovamento effettivo.

In questo quadro PD e quel che resta del berlusconismo (non tutto chiuso dentro Forza Italia) giocano la difficile partita di cercar di omogeneizzare i rispettivi arcipelaghi di riferimento senza però disporre veramente di una proposta politica forte e di una classe dirigente adeguata da proporre al paese. Non è un caso che domini in entrambi una volontà di fare quello che viene etichettato come scouting, cioè la ricerca di nuove figure da proporre ad un pubblico sempre alla ricerca di qualche nuovo idolo su cui riversare la sua speranza per il futuro. Sarebbe meglio si concentrassero sulla produzione di una proposta seria e condivisibile per la fuoruscita dell’Italia dalla crisi attuale, ma è un gioco troppo rischioso quando manca il leader capace di fare sintesi e di tirarsi dietro un paese sfibrato dalle massicce dosi di populismo che gli sono state somministrate.

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