A piedi nudi per i profughi… e poi?

Chi si impegna per i profughi sperimenta ogni giorno le contraddizioni dell’incontro tra diversi, ma pure la possibilità di un’integrazione positiva e utile per tutti. L’impegno attivo è fondamentale

Caro Pier,

l'11 settembre c'è stata anche a Trento la marcia a piedi nudi per i profughi. Finalmente. Purtroppo molti volontari della protezione civile, Astalli, Atas, Città Aperta non hanno potuto partecipare in quanto impegnati, per l'appunto, con i profughi. Mi sarebbe piaciuto che alcuni di quelli in marcia si fermassero presso le organizzazioni citate. Che ne dici?

Fabio Pipinato

La “marcia a piedi scalzi” che si è tenuta contemporaneamente in varie città italiane, ormai quasi un mese fa, è stata una prima occasione per manifestare la propria vicinanza alle migliaia di migranti che percorrono, con mezzi di fortuna, le vie del mondo. Camminare per qualche centinaio di metri a piedi nudi riesce soltanto a far immaginare che cosa significhino la difficoltà di movimento, la fatica e il dolore di quanti lasciano (magari fuggendo dalla guerra) il proprio paese per costruire chissà quale nuova vita, se questa vita ci sarà. Ma questa difficoltà non deriva soltanto dalla mancanza di adeguato “equipaggiamento”, quanto dall’imbattersi in confini e fili spinati, in muri e in norme legislative tese a rendere in qualsiasi modo impervio ai nuovi arrivati la possibilità di sognare un futuro migliore.

Perché questi movimenti di popoli? La risposta è semplice. In poche righe ce la descrive il messaggio del Papa per la giornata del rifugiato 2016: “I migranti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, che equamente dovrebbero essere divise tra tutti. Non è forse desiderio di ciascuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ottenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?”

Parole semplici e chiare. Davvero però crediamo che tutti gli uomini della terra sono persone con gli stessi diritti? Il Papa parla di “fratelli e sorelle”: forse questa è una prospettiva ideale, basterebbe l’idea che ognuno di noi sia un cittadino del mondo e che l’identità – nazionale, razziale, religiosa, etnica – non può più essere difesa con le armi, ma ormai si scolora e si mescola di nuove e impensate tinte.

Chi si impegna nelle organizzazioni che hai citato (molte delle quali sono tra le promotrici della “settimana dell’accoglienza” che inizia questo sabato), sperimentano ogni giorno le contraddizioni dell’incontro tra diversi, ma pure la possibilità di un’integrazione positiva e utile per tutti. L’impegno attivo diventa così fondamentale. La paura può generare mostri e la paura nasce di solito dall’ignoranza, dalla mancanza di relazione.

“Non vogliamo i rifugiati”: chi fa questa affermazione in genere non ha mai conosciuto da vicino queste persone, non ha mai sentito raccontare faccia a faccia le singole storie di ciascuno, non ha guardato il volto dei bambini. Per capire occorre incontrare. Se i richiedenti asilo vengono invece “relegati” in compartimenti stagni, in zone protette, in campi di raccolta, in centri di internamento, ancora una volta circondati dal “cordone sanitario” della nostra insicurezza, saranno sempre percepiti come un latente pericolo.

Credo che siano due le strade da seguire. Inserire i nuovi arrivati in progetti capaci di farli sentire parte della società, partecipi alla vita del luogo di accoglienza: lavori socialmente utili, incontri con soggetti deboli, studio della lingua italiana, aiuto nella stessa gestione del fenomeno dell’immigrazione. Ancora una volta sono le associazioni ad essere determinanti. Può accadere infatti, come abbiamo visto nelle inchieste di Roma, che i profughi, sfruttati e maltrattati durante il viaggio, siano ugualmente sfruttati una volta giunti in Italia. Chi specula su di loro distrugge l’opera di quanti, la stragrande maggioranza, cercano quotidianamente di cambiare le cose.

Come ho detto, l’incontro non è facile. Penso agli anziani dei nostri paesi (purtroppo sempre più vuoti) che si vedono arrivare persone sconosciute, da altre nazioni, con altre usanze, che faticano a inserirsi: la preoccupazione può nascere; è legittimo che nasca. Solo buone pratiche e esempi riusciti possono aprire nuovi scenari. È necessario mettersi in gioco. Perché, come scrive sempre il Papa, “alla radice del Vangelo della misericordia l’incontro e l’accoglienza dell’altro si intrecciano con l’incontro e l’accoglienza di Dio: accogliere l’altro è accogliere Dio in persona!”. Non facciamoci scappare questa occasione.

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