Chiesa e democrazia

Quando utilizza la parola popolo Papa Francesco ha in mente prima di tutto il contesto latino-americano

Mi ha colpito il commento dato a caldo dal Papa sulla vittoria del "Leave" al referendum sulla Brexit. Si tratta di una accettazione senza riserve della volontà popolare espressa nelle forme tipiche della democrazia. Penso che questa opinione scaturisca da una fede davvero grande. Perché bisogna veramente avere una fede molto profonda in Dio per poter dar credito al popolo senza riserve, soprattutto in un momento in cui è sotto gli occhi di tutti l'esempio classico portato dai critici della democrazia, da Platone in poi. Come si può dire che il popolo britannico abbia preso una decisione "saggia"? I meno numerosi "saggi" (rappresentanti politici o persone colte e lungimiranti) sicuramente avrebbero scelto l'altra opzione. Accettare il principio democratico richiede davvero fede. La maggioranza ha sempre ragione? Anche nella Chiesa? Tu cosa ne pensi?

Mariangela

Prima di addentrarmi in questo complesso quesito, vorrei fare una premessa relativa al ruolo che, negli ultimi decenni, il Papa sta rivestendo dal punto di vista propriamente “politico”. L’autorità globale del pontefice (almeno da Giovanni XXIII in poi) si è accentuata, sia perché il vescovo di Roma rappresenta milioni di credenti, sia perché i suoi pronunciamenti, le sue posizioni e le sue iniziative si sono intrecciate, oggettivamente e positivamente, con i grandi problemi del nostro tempo. Dalla pace all’ambiente, dai valori legati alla vita fino a questioni di fondo come il senso ultimo della democrazia, la voce del Papa è stata ed è una delle poche, se non l’unica, fonte di discernimento e di speranza. Ha parlato al mondo, dalla piazza globale di un pianeta rimpicciolito, sempre più interdipendente, quasi simile a una città immensa che ha bisogno di politica, di quella vera.

Questi ultimi tempi poi, così tormentati, trovano in Papa Francesco un’ancora imprescindibile, un punto di riferimento a cui aggrapparsi. Francesco ha capito prima di tutti il presente. Un’epoca in cui si è manifestato con grande evidenza il processo di globalizzazione, segnato dall’inevitabile incontro (e purtroppo anche di scontro) tra persone e popoli diversi tra loro. Basti pensare al fenomeno delle migrazioni. Ma si potrebbero citare molti altri epicentri di crisi. Francesco, il Papa della misericordia, un Papa “spirituale”, è però ricordato per un’azione politica che certo non riesce a fermare la guerra o il terrorismo, ma che sicuramente incide in maniera significativa, non solo a livello di diplomazia, ma soprattutto di “popolo”.

Occorre ricordare che Francesco è argentino e quando utilizza la parola popolo ha in mente prima di tutto il contesto latino-americano: in quel continente proprio la gente comune ha subito persecuzioni e repressioni da parte di feroci dittature rappresentanti di aristocrazie disposte a tutto pur di mantenere il potere. Papa Bergoglio pensa ovviamente a monsignor Romero, “martire per il popolo” che appunto ha dato la vita per un ideale capace di coniugare cristianesimo e democrazia. Romero veniva considerato sovversivo perché prendeva le parti dei poveri, come Bergoglio viene accusato di “populismo” solo perché spesso critica la corruzione, gli interessi economici, la sete di potere che alimentano i conflitti e i disastri ambientali.

In fondo, sì, è vero, papa Francesco crede nel popolo, crede nella possibilità di “rinascita” anche politica dei popoli. Ma non è certo un ingenuo e sa benissimo che ciò è possibile solo in determinate condizioni, in presenza di regole formali, ma pure di elementi sostanziali in grado di mettere al centro il cittadino. Il suo atteggiamento sul voto inglese va letto in questo modo. Sicuramente esiste il “paradosso della democrazia”, già evidenziato dagli antichi greci, per cui il popolo può democraticamente eleggere un dittatore distruggendo in questo modo la democrazia stessa. Qui il discorso si allargherebbe a dismisura. Nel 900 è accaduto proprio questo benché, per esempio in Italia, l’ascesa del Fascismo, sancita poi da un voto popolare, sia stata segnata da numerosissimi episodi di violenza. Là dove invece le consultazioni elettorali sono libere, corrette, svolte nel rispetto delle regole, precedute da una equilibrata campagna in cui l’accesso alle informazioni è garantito, il volere della maggioranza va sempre rispettato. Il caso inglese mi sembra far parte di quest’ultima categoria di espressione libera del voto. Che poi non si sia scelto per il meglio è un altro discorso.

Credere nella democrazia vuol dire che un popolo ben informato di solito decide per i suoi interessi. Anche la Chiesa parla di coscienze “ben formate”. Non possiamo permetterci di dubitare di questo assunto. Questa è la “fede democratica” di cui parli. Dobbiamo credere a questo, lavorare perché tutti si sentano partecipi della propria storia. L’alternativa sarebbe sicuramente peggiore: l’ascesa di qualcuno che pretende di parlare in vece del popolo, causando disastri che abbiamo già purtroppo sperimentato.

vitaTrentina

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