Colpa e punizione

Oggi questo tema ci inquieta

Tempo fa ho letto di una polemica su Dio che castigherebbe gli esseri umani per punirli per il loro peccato. In effetti nella Bibbia ho trovato alcuni episodi in cui si fa accenno al nesso colpa-punizione sia a livello individuale (penso alla storia del Re Davide), sia a livello collettivo (i 40 anni nel deserto di Israele dopo la fuga d'Egitto). Mi aiuteresti a capire meglio la questione?

Ilaria

Le culture e le religioni di ogni tempo si sono interrogate sul perché del male e della sofferenza. Ci sono stati innumerevoli tentativi di risposta, anche molto diversi tra di loro. In Oriente per esempio il dolore è concepito quasi come un elemento naturale, neutro, inevitabile, da accettare con pazienza e rassegnazione, senza domandarsene la ragione. Per il buddismo il dolore deriva dal desiderio degli uomini: poiché la nostra brama delle cose non sarà mai pienamente soddisfatta, ecco che soffriremo sempre per la mancanza di qualcosa. L’unica soluzione è estinguere questo desiderio, collocandosi in una dimensione superiore.

In Occidente il male è collegato molto spesso a qualche tipo di colpa. Ma attenzione, nella fase più arcaica delle civiltà questa colpa non assume connotati morali (oppure non deriva dalla violazione di una norma giuridica) ma è qualcosa di ancestrale, sovente incomprensibile. È la testimonianza di una rottura primigenia. In molti miti greci il personaggio oggetto del racconto viene punito dagli dei per aver violato il volere del Fato, senza magari averlo neppure compreso. La punizione viene comminata per una sorta di intromissione da parte dell’uomo nella sfera del sacro. Che appunto è inattingibile. Così nella Bibbia si racconta che, durante il trasporto dell’Arca dell’alleanza verso Gerusalemme, Uzzà toccò l’Arca che stava per cadere dal carro: ebbene Dio si adirò con lui e lo fulminò all’istante (cfr. 2 Sam 6, 6-7).

Nel corso del tempo tuttavia, almeno per la fede ebraica, la punizione divina si lega a una colpa: il popolo trasgredisce l’alleanza e quindi viene castigato da Dio. Ogni male (una sconfitta in battaglia, un disastro naturale o una pestilenza) viene ricondotto a una trasgressione. La dinastia davidica finisce con la distruzione del Tempio perché i re “avevano fatto ciò che è male agli occhi del Signore”. Tale prospettiva è riassunta chiaramente nel libro del Deuteronomio: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza” (Dt 30,19). La riflessione dei profeti sposta la responsabilità dal “popolo” all’individuo: Davide viene punito per una sua colpa personale. Ezechiele e Geremia insistono sull’affermare che la colpa dei padri non può ricadere sui figli.

Lo schema era semplice, immediato. Ma è presto messo in discussione. Giobbe soffre ma non ha colpa, è innocente, è giusto. Perché Dio non gli concede vita e prosperità? Giobbe grida, ma non raggiunge una risposta esauriente. In un certo senso neppure Gesù risponde a questo problema. Quando i Farisei gli chiedono se il cieco nato fosse tale per una sua colpa o per una colpa dei suoi genitori, Gesù pone l’accento sulla possibilità di salvezza e non sui ragionamenti contorti e fallaci. Ci viene spontaneo cercare il colpevole, ma forse dovremo cambiare strada.

Oggi questo tema ci inquieta. Eppure anche la predicazione della Chiesa si è basata sul nesso colpa e punizione, spingendosi fino ad eccessi che offuscavano la misericordia di Dio. Dio puniva non solo per spingere sulla retta via, ma quasi per desiderio di vendetta. Se così fosse le vittime della storia sarebbero i colpevoli, mentre i tiranni che finiscono talvolta i loro giorni in tranquillità, sarebbero i benedetti da Dio. Possiamo forse dire che il bambino ebrei sono stati sterminati ad Auschwitz per le colpe dei loro genitori? Oppure la vecchia che ha perso tutto nel terremoto in Italia centrale è stata punita perché il governo Renzi ha varato una legge sulle unioni civili? Ma stiamo scherzando? Impossibile! Perché il Dio della Bibbia sta dalla parte degli oppressi.

Non finiremo mai di parlare di questo argomento. La nostra fragilità costitutiva non è capace di trovare risposte. Sappiamo soltanto che Dio vuole il nostro bene e che ogni cosa, ogni evento, sono nelle sue mani. Gesù non era un filosofo. non voleva discutere sui cavilli. Prospettava invece una via nuova, capace di riconciliazione, salvezza e resurrezione. Ha seguito la via della croce perché così voleva il Padre. Ha donato la sua vita per gli altri. Ha vinto il male con il bene. Questo sappiamo e credo che ci basti.

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