I fondamenti della fede

Ti seguo da molto sulle pagine di Vita Trentina, e ti ringrazio per i tuoi interventi, che trovo spesso centrati, oltre che ben argomentati. Ho però un dubbio. Tu hai sottolineato le differenze tra la fede vissuta prima o dopo il Concilio, ma non è forse questa una distinzione che più di altre porta a far confusione? Negli ultimi 50 anni quasi tutto è cambiato intorno a noi, ma non sicuramente la fede che professiamo. La distinzione netta tra prima e dopo rischia di far “buttar via il bambino con l’acqua sporca”, e concorre a creare disorientamento. I fondamenti della fede invece sono gli stessi di venti secoli di storia, basta avere l’umiltà di accettarli. La sfida così riguarda il capire come questi possano essere vissuti nel tormentato tempo presente.

Lorenzo Rossi

Grazie delle tue considerazioni che mi consentono di chiarire il mio pensiero sull’argomento. Sul primo punto della tua riflessione mi trovo senz’altro d’accordo. La fede cattolica non è cambiata con il Concilio Vaticano II, ci mancherebbe. Il “depositum fidei”, ereditato dalla tradizione lungo i secoli, non viene modificato. Papa Roncalli infatti parlava di “aggiornamento” che significava una riproposizione della verità dottrinale, della liturgia, della autocomprensione della Chiesa, dei rapporti con il mondo, alla luce dei cosiddetti “segni dei tempi”. I fondamenti restano intatti, si affina la loro comprensione. La nostra interpretazione del mistero, aggiungo io, non può mai considerarsi definitiva; perché noi non possiamo possedere completamente il mistero; in ultima analisi Dio sarà sempre più grande di noi. La sfida, affascinante e ardua, è quella di incarnare nel nostro tempo, nella nostra vita, il messaggio cristiano, senza snaturarlo, ma anche senza considerarlo come qualcosa di statico. Kierkegaard diceva che bisogna essere sempre “contemporanei di Cristo” come se fossimo i primi ad ascoltare quell’annuncio di 20 secoli fa. Lo dobbiamo interpretare attraverso il presente.

Negli anni scorsi, a livello di discussione teologica, si è dibattuto forse troppo su quella che tecnicamente veniva chiamata ermeneutica della discontinuità oppure ermeneutica della continuità riguardo al Concilio. In parole povere: il Vaticano II è stato un momento di rottura, di svolta rispetto al passato, oppure ha raccolto i frutti di una lunga riflessione precedente? Non voglio soffermarmi su questo, perché probabilmente ambedue le interpretazioni colgono una parte di verità.

Certo è che il modo di vivere la fede, come lo chiami tu, è cambiato profondamente. Io mi sono limitato a descrivere un fenomeno: la distinzione tra un prima e un dopo è nei fatti.

Un esempio fra tutti. L’idea di salvezza, elemento centrale della fede cristiana, è davvero cambiata in questi ultimi decenni. Se chiedevi ai nostri nonni che cosa era la salvezza, avrebbero risposto senz’altro: non andare all’inferno. Il sacrificio di Cristo era servito per placare l’ira di Dio. Bisognava pregare per le anime purganti, per la salvezza eterna dei propri cari. Il mite Buon pastore che cerca la pecorella smarrita si era trasformato nell’arcigno giudice di michelangiolesca memoria.

Oggi l’immaginario collettivo ha rigettato completamente questa visione. Non solo quanti si sono allontanati dalla religione cristiana non capiscono quasi che cosa significhi la parola salvezza, ma anche i fedeli sono abituati a pensarla in un modo molto diverso da qualche generazione fa. Si va in “paradiso” automaticamente, non servono indulgenze, Messe di suffragio, perdono dei peccati, perché la stessa morte ci sembra assurda, ci sembra una cosa impossibile, immeritata; troppo dolorosa per essere causata da qualsiasi peccato. Ai funerali si dà per scontato che il defunto andrà in cielo, in un paradiso Lavazza dove non si farà altro che ripetere le passioni e le occupazioni della vita, dall’andare in moto o in bicicletta al preparare cocktail, da giocare a calcio a suonare la batteria, da scalare le montagne fino a incontrare di nuovo il proprio animale domestico. Il contorno resta cristiano – quasi tutti vogliono il funerale in Chiesa – ma le convinzioni profonde assomigliano al feticismo degli antichi egiziani.

Credo che il drastico passaggio da un tipo di visione ad un altro sia l’elemento che ha determinato la confusione odierna. Non credo che si possa tornare indietro. Occorre forse una nuova alfabetizzazione religiosa. Ma tutto oggi viene lasciato all’iniziativa del singolo, quando dovrebbe essere l’intera comunità a farsene carico.

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