Il Trentino dei balocchi?

La tua lettera quindi sottende qualcosa di più profondo rispetto alla semplice critica al predominio dell’effimero

Provo un certo sconcerto nel vedere come, anno dopo anno, si moltiplicano in Trentino iniziative volte all’evasione e al divertimento. Benché siano eventi effimeri, magari della durata di un solo giorno, comportano un grande impegno di tempo, energie e denaro. Sarebbe meglio utilizzare queste risorse non per creare un Trentino “paese dei balocchi”, ma per attività di carattere sociale, ambientale e culturale, nel tentativo di ritrovare le radici di una comune umanità che oggi sembra sfaldarsi. Quale è la tua opinione in merito?

Pierluigi

Ho dovuto riassumere la tua lunga lettera cogliendo una sola delle tante suggestioni in essa contenute. La realtà sociale e culturale del Trentino è molto ricca e variegata. Siamo una piccola provincia sia per territorio sia per numero di abitanti, ma ugualmente riusciamo a mettere in campo eventi di ogni tipo capaci di generare una folta partecipazione e pure di attrarre persone dalle regioni limitrofe.

Detto ciò è altrettanto vero che, spesso in nome del turismo o delle ricadute economiche, sono cresciute in questi anni le manifestazioni ludiche, presentando un Trentino come luogo di vacanza e di spensieratezza, un “paese dei balocchi”, come dici tu. Non possiamo presumere di essere diversi dagli altri, di non essere influenzati dalla mentalità collettiva che guida quest’aspetto della vita sociale. È difficile scostarsi da una certa moda che prevede poca riflessione e molta emozione, poco impegno e molto divertimento, molto consumo e poca sobrietà.

A mio avviso però la realtà è più complessa di quanto appare. Assistiamo a un rapido processo di passaggio dalla comunità all’individualità e dal reale al “virtuale” (che è molto concreto anch’esso): tale cambiamento, cominciato alcuni decenni fa, è accelerato con il nuovo secolo. Adesso siamo davanti a una frantumazione della società che si concretizza nel moltiplicarsi di azioni contraddittorie, di variegati gruppi di interesse, di piccole iniziative in ogni ambito. Ci sono tantissime esperienze poco conosciute che formano nuovi stili di vita improntati per esempio al rispetto dell’ambiente: sono convinto che oggi la salvaguardia della natura è inscindibile dal mantenimento di una buona qualità dei rapporti umani.

Spesso si dice che non esiste più una partecipazione dei cittadini nella sfera pubblica, mentre trionfa la chiusura nel privato. Non penso che sia così, perché al di là delle apparenze ci sarebbe ancora il desiderio di condividere con gli altri un tratto di tempo e di vita. C’è invece una frammentazione babelica, riflesso di un mondo in confusione.

La tua lettera quindi sottende qualcosa di più profondo rispetto alla semplice critica al predominio dell’effimero. Il problema è la difficoltà a costruire progetti collettivi. Non credo che debba essere una Provincia, intesa come ente pubblico, già troppo invasiva e onnipresente, a trasformarsi in un’agenzia culturale oppure in una specie di “Stato etico” con una precisa visione valoriale. La retorica e il paternalismo, benché dettati dalle migliori intenzioni, sono sempre dietro l’angolo e non aiutano soprattutto oggi quando l’identità non è più monolitica ma plurima e mutevole.

I discorsi dei politici e, a volte, anche quelli dell’autorità ecclesiale spesso mancano di realismo. Va bene parlare di una autonomia “speciale” perché i trentini sarebbero speciali oppure di una comunità più o meno omogenea. No, non siamo una comunità, perché in questo tempo è difficilissimo fare comunità.

Comprendo che tenere insieme questa “non comunità” (seppur meno sfilacciata rispetto ad altri territori) necessiti anche esortazioni appassionate, accorati appelli, iniziative concrete per spronare e spronarci all’impegno sulla questioni più spinose del nostro tempo: povertà, accoglienza dello straniero, tutela ambientale, attenzione ai giovani. Mi sembra che la diocesi sia molto concentrata su questo grazie alla pastorale dell’arcivescovo Lauro. Penso che queste attività vengano incontro alla tua esigenza di costruire – o di mantenere – un comune senso di umanità.

Su questo versante non bisogna demonizzare neppure il divertimento, se esso si connette a una idea di festa davvero in grado di creare comunità. La festa è convivialità, condivisione tra diversi. Insieme si possono vincere la paura e la rabbia affrontando i problemi con spirito generoso e costruttivo proprio perché rivolto al futuro. La chiusura in se stessi alimenta il disagio, l’incontro genera sempre nuove possibilità.

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