Ma che cristiano sono?

A volte mi chiedo che cristiano sono. È come un processo interiore che mi aiuta a migliorarmi. A volte, non lo nascondo, è un confronto contraddittorio. Certi giorni mi sento un buon testimone, cercando di vivere la quotidianità con serenità e semplicità; a volte mi sembra che il tanto se non il tutto che ho… non mi basti.

Ed ecco che come tutti i segni del destino, o se vogliamo della Provvidenza, mi fa incontrare una persona speciale che si chiama Umberto, il senza dimora che spesso vive presso il santuario delle Laste. A volte, senza essere invadente, scambio qualche parola con lui per sapere se ha bisogno di qualcosa. Lui sempre con grande dignità e con un sorriso sofferente mi dice che non ha bisogno di niente. Allora in quell' istante e in quella risposta capisco molte cose. Grazie Umberto, tu che non hai nulla hai reso migliore me che ho tutto.

Un lettore

La tua riflessione, a prima vista molto semplice, è veramente profonda. Se ci pensiamo bene le domande più immediate sono quelle a cui è più difficile rispondere. Cosa vuol dire essere uomini, cosa significa in pratica essere cristiani? Cosa abbiamo, cosa ci manca? Quale è il senso ultimo del nostro vivere e della nostra fede? A volte dobbiamo davvero fermarci per tentare di fare un minimo di chiarezza almeno dentro di noi. Era quello che una volta si chiamava “esame di coscienza”.

Per essere capaci di questo discernimento interiore occorre esercizio, quella disciplina che in questo tempo sembra non andare di moda. Non possiamo farlo da soli. Per fortuna abbiamo una fonte sempre fresca a cui attingere acqua, ossia la Bibbia e in particolare il Vangelo. Quando siamo confusi, ecco l’elemento chiarificatore: la vita di Gesù. Come si comportava, quali erano i suoi atteggiamenti.

Recentemente ho letto un libro dello scrittore giapponese Endo Shusaku sulla vita di Gesù. L’autore vuole presentare la figura di Gesù per il popolo giapponese, evidenziando soprattutto il rapporto diretto che Cristo ha con le persone più semplici. Il “sogno” di Gesù, come lo chiama Endo, è quello di annunciare l’amore di Dio ai poveri, portare a loro la buona notizia della liberazione. Dio è vicino. Vuole la giustizia e la salvezza. Non sono termini astratti, ma concreti, terrestri. Per usare una metafora pittorica si potrebbe dire che è una salvezza colorata, vivace, calda come certi quadri di Van Gogh (che peraltro, come sappiamo, era ispirato dalla Bibbia) piuttosto che essere qualcosa di simmetrico come l’arte di Kandinskij.

Non dobbiamo però cadere nell’errore di ritenere che la predicazione di Gesù fosse rivolta a una dimensione semplicemente morale o, all’opposto e ancora peggio, a un cambiamento nella situazione sociale e politica del tempo. È una tentazione che abbiamo anche noi. Persino i discepoli dopo la risurrezione si chiedevano quando Gesù avrebbe ricostruito il regno di Israele. Un’opera semplicemente mondana.

A prima vista sembrano due annunci contraddittori: se la salvezza è concreta perché non dovrebbe interessare la dimensione sociale e politica? Così non è, perché Gesù non è la guida di una sollevazione popolare ma cerca la conversione dei cuori.

La forza del cristiano dovrebbe manifestarsi nella semplicità. Tu dici che noi abbiamo tutto… Ma non ci basta. Perché noi abbiamo ancora grandi ricchezze materiali, nonostante le difficoltà economiche di molti. Viviamo in una società ordinata, possiamo curarci adeguatamente, abbiamo buone scuole per i nostri figli. Eppure le persone come Umberto ci insegnano molto. Assomigliano ai poveri che Gesù incontrava sulle strade della Galilea. Andava volentieri da loro perché aveva compassione. Spesso invece il nostro atteggiamento di attenzione verso gli ultimi nasconde una implicita od esplicita considerazione che ci fa dire: “Ecco come sono superiore a lui”. La solidarietà diventa allora manifestazione di superiorità. Un altro giudizio che facciamo verso il prossimo. Tuttavia, come ha affermato Papa Francesco, “chi siamo noi per giudicare?”

Paradossalmente invece Gesù andava incontro ai poveri perché imparava dalla loro fede forse inespressa e inconsapevole. La fede dei pastori di Betlemme, del pubblicano che si batte il petto in fondo al Tempio, dei lebbrosi che vogliono toccare Gesù. Delle donne emarginate, dei malati che non possono guarire. Da loro impariamo l’affidamento completo a Dio. Che cos’altro sarebbe la fede se non si basasse su questa fiducia?

Così tutte le persone che incontriamo, ma soprattutto quelle marginali, a prima vista avulse dal mondo, insignificanti, non produttive, sono una via per aiutarci a comprendere cosa vuol dire essere cristiani. Se non abbiamo questa apertura fiduciosa verso Dio ecco che tutto l’edificio teologico crolla e restano solo vuote parole.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina