Nuove chiese e ricerca della bellezza

Le chiese nei nostri paesi e nelle nostre città sono spesso le costruzioni più belle che possiamo ammirare. Nelle varie epoche i diversi stili architettonici hanno saputo svelare ai fedeli diverse sfaccettature della Bellezza. Tutto questo testimonia un passato in cui la Fede e l'Arte erano felicemente legate, e questo connubio è stato certamente fruttuoso per entrambe. Per constatarlo non è necessario visitare le cattedrali delle grandi città europee, anche nei piccoli paesi e addirittura nelle campagne si trovano dei veri e propri gioielli. Oggi la situazione appare a molti diversa, ed è frequente che le chiese di nuova costruzione provochino perplessità. In alcuni si può dire tranquillamente che sono proprio brutte. Fa ancor più impressione sapere che dietro a certi progetti ci siano firme di famose "archistar". Tu cosa ne pensi?

Alma

In uno scritto pubblicato in italiano con il titolo “La testimonianza della poesia” il premio Nobel per la letteratura Czeslaw Milosz, polacco, si chiedeva il perché della crisi dell’arte avvenuta nel Novecento. Il poeta la connetteva soprattutto alla disillusione rispetto al mito del progresso rovesciatosi, in particolare durante le due guerre mondiali, nell’abisso della morte e della distruzione. La cultura europea aveva fallito. La filosofia come l’arte. Si staglia da allora di fronte a noi una crisi di natura spirituale. Scrive Milosz: “L’esistenza appare soggetta alla necessità e al caso, senza l’intervento divino che fino a poco tempo fa soccorreva i sovrani pii e castigava i sovrani empi, e senza le garanzie fornite da quella sorta di Provvidenza secolarizzata che era l’idea di Progresso”.

Adesso le nuove cattedrali sono i centri commerciali mentre le chiese di costruzione contemporanea assomigliano ad anonimi magazzini di periferia, ormai in disuso. Ci vorrebbe qualche immagine per dare un’idea dell’incomparabile bruttezza (non trovo un’altra parola) di certi edifici che stanno tra la piscina, la caserma e il centro congressi. Per rendersene conto basta andare su Internet e cercare fotografie della chiesa della Resurrezione di Gesù a Sesto S. Giovanni firmata Cino Zucchi oppure della chiesa di San Paolo apostolo di Foligno dell’archistar Massimiliano Fuksas. Quest’ultima, un cubo alto 26 metri, sembra una centrale nucleare oppure un fortino antiaereo da cui sparare i missili. Non si capisce bene il senso di queste costruzioni.

Eppure la ricerca del bello potrebbe diventare uno dei migliori antidoti alla decadenza generalizzata: “La crescente disperazione per la discrepanza tra la realtà e le aspirazioni del nostro cuore, sarà così scongiurata e il mondo che esiste oggettivamente – come forse appare agli occhi di Dio e non come è percepito da noi, con i nostri desideri e le nostre sofferenze – sarà accettato in tutto il suo bene e in tutto il suo male”. Così affermava Milosz più di trenta anni fa. Parole che oggi valgono ancora di più.

Anche il cosiddetto mondo cattolico non può non risentire dell’ambiente in cui è immerso. Se l’architettura “profana” è in crisi, così anche quella sacra si trova in una difficoltà a mio parere accentuata dai cambiamenti liturgici degli ultimi decenni. Cambiamenti giusti e necessari, per carità. Ma in un certo senso non ancora “tradotti” nel concreto dei luoghi: si è spostato l’altare per avvicinarlo ai fedeli, si sono eliminati certi decori eccessivamente barocchi, si è cercato di evidenziare gli aspetti centrali della fede e così via; forse però non si è trovata ancora un’armonia complessiva.

Non dimentichiamo che, accanto ad eclatanti orrori, ci sono centinaia di nuove chiese – che ovviamente non finiscono agli onori o ai disonori della cronaca – che in maniera armonica si accompagnano al paesaggio urbano e pure alla vita della comunità.

Ciò che avviene dentro condiziona l’esterno e viceversa. I liturgisti più avveduti sostengono la necessità, pastorale e anche sociale, che le chiese siano “riconoscibili” anche a distanza senza cercare per forza l’originalità. È meglio mantenere un simbolismo più immediato, utilizzando materiali più “caldi” e accoglienti (meno cemento, più legno).

Da questo punto di vista non penso che si possa tornare indietro. Purtroppo anche l’edilizia sacra deve fare i conti con la marginalità delle istanze spirituali rispetto agli interessi consumistici. A mio avviso le chiese dovrebbero recuperare la capacità di trasmettere, anche mediante l’architettura, le fonti di luce, gli arredi interni, qualcosa che spinga al raccoglimento, al silenzio, all’interiorità, all’elevazione. La chiesa (intesa come edificio) non può essere concepita come una sala riunioni che deve favorire il dibattito interno… Sono altri gli scopi che devono guidare la sua costruzione. Raggiungere la bellezza è forse un altro discorso, ma intanto accontentiamoci di non avere chiese irriconoscibili.

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