Un bravo parroco e il celibato

Ho letto del caso dell’ex parroco di Borgo don Daniele. A detta di tutti si dimostrava essere un prete che seguiva con intelligenza e coraggio il suo gregge. Sentiva l’odore delle pecore. Riusciva a coinvolgere il suo popolo in una crescita ecclesiale. Non condivido il giudizio della Curia su fatti gravi che lo condannano pubblicamente. La Curia ha applicato il diritto canonico, non credo che abbia fatto una riflessione su come si trovano questi preti giovani. Per me un bravo parroco deve essere presente in mezzo al suo popolo facendosi carico dei suoi problemi e dei suoi dubbi e portando la carità di Gesù come strumento di speranza e di vita. Il celibato o meno è un aspetto secondario. Fra qualche anno non solo il problema dei preti sposati sembrerà un fatto necessario, ma si porrà con urgenza anche il ruolo della donna nell’ esercizio di pastore. Tu cosa ne dici ?

Giovanni

Quando ci addentriamo nella vita di una persona, nelle sue scelte e nelle sue cadute, non possiamo non utilizzare il metro della discrezione. Chi siamo noi per giudicare? Non conosciamo quasi niente di questa vicenda e se anche sapessimo i particolari dovremmo lo stesso imporci il silenzio, poiché comprendiamo di essere pure noi manchevoli. La tolleranza e la misericordia sono i primi nostri sentimenti. Spesso tuttavia non ci comportiamo in questo modo, siamo pronti a puntare il dito, a stupirci, a scandalizzarci, a rimproverare. Facciamo così con il malcapitato oppure con l’istituzione.

In merito alla vicenda citata, qualcuno se l’è presa con la Curia perché avrebbe agito in maniera burocratica, notarile, applicando semplicemente le norme del diritto canonico, dimenticando le difficoltà del parroco. A mio avviso la Curia ha invece scelto la strada giusta, per altro senza alternative. Il silenzio, come detto prima, che non “silenzia”, che non vuole nascondere, ma comprendere per lasciare spazio a veri atteggiamenti di perdono. Mettere in piazza ulteriori particolari avrebbe alimentato polemiche e dicerie: in un verso o nell’altro qualsiasi comportamento non avrebbe riscosso l’unanimità del consenso. Non credo poi sia questo l’obiettivo principale. Neppure per porre la questione della situazione di preti “giovani” come don Daniele. Ancora più sbagliato sarebbe farlo in momenti emergenziali.

Il prete, in questo  caso un parroco, svolge un ruolo pubblico, almeno per quanto riguarda la comunità cristiana – e in un paese piccolo anche per quella civile. All’inizio del suo ministero ha fatto alcune promesse, tra cui quella del celibato. Può essere sbagliata, troppo gravosa, inattuale e inattuabile: per ora questa è però la “disciplina” richiesta. Il venir meno a questa promessa non può non essere valutato negativamente e quindi don Daniele per ora non può fare il parroco.

Il discorso cambia se affrontiamo il problema delle caratteristiche che dovrebbe avere un “buon parroco”. Anche qui dobbiamo rifarci alle cronache che vengono da Borgo. I parrocchiani sembravano molto contenti perché la vita ecclesiale della comunità era fiorente (relativamente al tempo in cui viviamo). Forse – ma qui esprimo una mia valutazione personale – un prete sposato sarebbe ancora più vicino ai bisogni materiali e spirituali dei fedeli. In effetti il celibato, che non è una componente fondamentale del mistero cristiano, è sempre meno capito. Questo non è un elemento secondario. Forse non sappiamo presentare adeguatamente il valore e la forza di questa condizione. Oggi però generalmente il celibato non è neppure visto come un modello controcorrente… lo sarebbe sicuramente di più un matrimonio che funziona!

Sono paradossi, ma non tanto. Ci sono ben altre cose che stridono, come vedere su certi settimanali cattolici l’esaltazione di note figure televisive, portate ad esempio di virtù (anche cristiane), ma con alle spalle vicissitudini familiari non cristalline… Non stupiamoci troppo allora.

Ho già scritto più volte, sulla scia delle posizioni di vescovi e cardinali molto autorevoli, che, prima di auspicare rivoluzioni al di là da venire, sarebbe meglio procedere sulla strada dei viri probati, cioè di uomini anziani e non, ma comunque di provata fede e comportamento, di solida formazione, sposati o no, che potrebbero svolgere le mansioni del prete fino ad arrivare all’ordinazione sacra. Sembra che nel Sinodo dell’Amazzonia, previsto per l’ottobre 2019, si parlerà anche di questo. Davvero tanto cambierebbe se in ogni nostra comunità si trovasse una figura del genere! Servirebbe anche per dare respiro ai sacerdoti non solo da un punto di vista pratico, ma oserei dire morale, esistenziale. Molti problemi infatti sono generati dalla solitudine.

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