Una Chiesa da applausi?

Le espressioni di partecipazione emotiva possono essere le più diverse e variano secondo le sensibilità culturali e religiose della gente del luogo

Scrivo per chiederti un tuo parere a riguardo delle celebrazione liturgiche: in tante occasioni, anche su invito del prete, si termina con degli applausi da parte dei fedeli. Sarà perché provengo da una generazione (n. 1950), quando per nessun motivo si applaudiva, ma, salvo certi casi, mi sembra una consuetudine eccessiva, abusata. Lo si fa perfino ai funerali!

Anni fa il giornalista della Rai Aldo Maria Valli, che segue le notizie sulla Chiesa e sul Vaticano, disse: "Abbiamo preso questa abitudine dal sud Italia dove si applaude, e imbalsamano i preti".

Saluti.

Maurizio Pasquazzo

Penso che sollevi un problema abbastanza delicato, sicuramente non esauribile al problema degli “applausi”. Occorre soffermarsi sul ruolo che i fedeli hanno nella celebrazione, sulla loro partecipazione attiva e sulle varie forme di coinvolgimento durante le diverse fasi della liturgia. Dobbiamo poi confrontarci con il cambiamento scaturito dal Concilio Vaticano II con l’interpretazione più approfondita dell’intero rito eucaristico e quindi della funzione della comunità che si raduna la domenica. Non si tratta soltanto del “prete che si gira” non dando più le spalle all’assemblea, ma della revisione di tutte le parti della Messa riservate al sacerdote e di tutte quelle in cui intervengono i fedeli. Sono due ambiti diversi ma ugualmente necessari: dalla loro armonia dipende la “qualità” della celebrazione.

A volte qualcuno rimpiange il vecchio rito con la figura di prete ieratica e distante dal “popolo”, che si limitava ad assistere magari senza capire nulla perché veniva quasi sempre usato il latino. All’opposto assistiamo ad “innovazioni” liturgiche fantasiose e avulse dalla tradizione, come appunto possono essere gli applausi (anche se c’è di molto peggio come per esempio il cambiamento delle parole del Credo).

Non serve mai esagerare. Ricordo ancora la battaglia contro le chitarre in chiesa perché c’era l’ordine di utilizzare soltanto l’organo. Alle nostre latitudini si guarda con distaccata superiorità a quelle Messe celebrate in America latina o in Africa, piene di colori, in cui il movimento del corpo (a volte una vera e propria danza) e il canto sono elementi essenziali. Sono vitali, coinvolgenti. Le espressioni di partecipazione emotiva possono essere le più diverse e variano secondo le sensibilità culturali e religiose della gente del luogo. Così nel sud Italia c’era – e forse c’è ancora – una maggiore manifestazione aperta dei propri sentimenti, rispetto al più compassato atteggiamento “nordico”.

Forse però non è questo il punto più saliente. Se gli applausi sono sinceri, ci potrebbero anche stare. Magari sul sagrato piuttosto che in chiesa. Dipende pure dalle circostanze, dalle occasioni: a un matrimonio o a un battesimo si dovrebbe festeggiare di più che a un funerale. Ma oggi tutto è confuso, sovrapposto, sottosopra. Il problema che hai sollevato apre una questione a mio avviso molto più sostanziale. Davvero di fondo. Che riguarda la comprensione della fede. O meglio, l’incomprensione della fede e quindi della liturgia.

Parliamo dei funerali. Prima di tutto va fatta una premessa. Occorre ringraziare i nostri preti per il loro servizio di accompagnamento dei defunti e dei loro famigliari. Accade che debbano celebrare tre o quattro esequie in settimana, sovente di persone molto lontane dalla pratica religiosa ma che ugualmente desiderano il funerale cristiano. A volte, quando muoiono bambini o giovani, il prete deve consolare, trovare le parole giuste in situazioni di grande disperazione.

Detto questo occorre guardarsi da alcune esibizioni: restando ai funerali, ecco spuntare i cappelli da pompiere messi sulla bara di un ex pompiere… le magliette della squadra del cuore, la bicicletta, gli orsetti e le bamboline, le orrende espressioni di contorno, tra palloncini, fanfare, canzoni rock, poesie, cartelloni. Si tratta di un feticismo che mi ricorda l’antico Egitto quando, nella tomba del faraone si mettevano gli oggetti utilizzati in vita (e pure i servi ancora vivi!) perché lo seguissero nella dimensione ultraterrena. Il paradiso dell’immaginario collettivo contemporaneo non è molto differente.

Il problema non sono dunque gli applausi. Ma quello che ci sta (o non ci sta) dietro. Alla gazzarra esterna si accompagna una sorta di afasia che avvolge i presenti: sempre più spesso i preti non trovano le parole e invocano il “silenzio” perché non sanno più cosa dire di fronte alla morte. Più precisamente, se ripropongono le essenziali verità di fede, non riescono più a farsi capire.

L’impegno è allora quello di rendere le liturgie più significanti per i fedeli – a prescindere dall’assiduità della loro partecipazione – senza perdere il cuore dell’annuncio cristiano.

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