Il primato di Dio

“Ho licenziato Dio, gettato via un amore, per costituirmi il vuoto nell’anima e nel cuore”, così comincia il Cantico dei drogati, una poesia in musica di Fabrizio de Andrè. La canzone è una mesta e tragica riflessione non solo sulla tossicodipendenza (in questo caso scaturita dall’abuso alcolico) ma pure, in generale, sulla condizione di una persona che si autodistrugge a poco a poco. In questo caso la droga può essere qualsiasi cosa, il denaro, il potere, l’incapacità di fare del bene, la gelosia, l’invidia. La mancanza di speranza.

Nella nostra epoca molti hanno licenziato Dio, anzi lo hanno ucciso, come aveva profetizzato “l’uomo folle” di Nietzsche quasi 150 anni fa. Alcuni lo hanno fatto per futili motivi – per noia o indifferenza -, altri per il desiderio di aumentare la propria libertà, altri ancora perché il male della storia perpetrato dagli uomini e il dolore intrinseco ad ogni essere vivente hanno offuscato il cielo nascondendo (o meglio eclissando) il Sole. L’esistenza di costoro non è diventata migliore, la sofferenza interiore sicuramente sì.

Quanti osano invece affermare di aver ricevuto in dono la fede, sono chiamati quotidianamente a domandarsi, in coscienza, come si rapportano per davvero con Dio. Che immagine ci facciamo di Lui? Credo che sia necessaria una diuturna purificazione dell’animo, mediante l’ascolto della Tradizione e del Magistero della Chiesa, mediante la preghiera e i sacramenti, mediante la lettura della Bibbia e anche attraverso una propria ricerca spirituale.

Vediamo oggi usare il nome di Dio per compiere soprusi e violenze. In passato lo hanno fatto anche i cristiani. Adesso la Chiesa predica la pace, seguendo finalmente la prospettiva evangelica.

A volte invochiamo Dio quando non sappiamo più che cosa fare, quando ci serve come tappabuchi (per usare la celebre espressione di Bonhoeffer), salvo poi – una volta che crediamo di avere la situazione di nuovo in pugno -lasciargli sempre meno spazio nella vita concreta, nelle nostre aspirazioni più profonde.

Ecco poi che, al Dio terribile dipinto da secoli di predicazione (Gesù morto e risorto per amore diventato giudice inflessibile, dalla cui sentenza di condanna a stento l’uomo giusto si salverà), si è sostituito il Dio-nonno buono e rimbambito che perdona tutto in un paradiso hollywoodiano, completamente avulso da qualsiasi prospettiva di fede.

Qualcuno invece, per essere alla moda con la scienza, descrive Dio come una sconosciuta e penetrante energia cosmica, una musica celestiale impersonale e comoda per rientrare in qualsiasi bizzarra prospettiva (che comunque piace alla distratta gente del nostro tempo).

In un certo senso, se non lo licenziamo del tutto, vogliamo costruirci un Dio a immagine e somiglianza nostra. È vero invece il contrario: è Dio che ci ha creati a sua immagine! Cosa vuol dire questo? Che l’uomo, purificato dal peccato, assomiglia addirittura a Dio. E ancora che tutte le cose belle dell’uomo – l’amore, la vita, la gioia, la speranza, la capacità di compiere il bene sacrificandosi per gli altri, il desiderio di pienezza e di infinito -non sono illusioni che spariscono con la nostra morte, ma sono invece realtà durature, destinate all’eternità. Queste cose belle, questi sentimenti positivi ci dicono molto di più di Dio rispetto a qualsiasi sistema teologico o teoria filosofica.

Dentro di noi scopriamo che questa visione di Dio non è un’invenzione della nostra fantasia. Una forza ci lega inscindibilmente a Lui. Anche mediante la contemplazione della natura si può arrivare a una dimensione spirituale, ma ci vogliono tanta fede e tanta sensibilità.

Tuttavia, proprio in questo tempo in cui il soggettivismo dilaga (tutto è interno al mio io, anche la divinità), l’assoluta alterità di Dio va preservata. Dio è il mistero, l’altrove. Non riusciremo mai a penetrare nella sua essenza. Per la Bibbia il nome di Dio è impronunciabile. L’alterità si manifesta anche in ogni sua iniziativa: Dio crea, si rivela, fa un’alleanza, per i cristiani si incarna; ciò non avviene per necessità, ma per un libero impeto di amore. Questo primato di Dio – a fronte di una umanità che crede di comprendere tutto esclusivamente a partire dalla materia e dalla realtà visibile, manipolabile e misurabile – diventa il punto di partenza per testimoniare la fede.

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