Dentro i “panni” del paziente

L’intervento medico presuppone una relazione di fiducia e si fonda sul concetto di empatia e appropriatezza della cura

Il mio medico in questi anni ha cambiato più volte le medicine per la mia cura e questo adesso mi preoccupa, perché ho paura che lui non abbia trovato il farmaco giusto e stia facendo come dei tentativi continui… è possibile o sono io troppo ansiosa?

Ritengo che la domanda racchiuda il desiderio di chiarezza sull’essenza del rapporto medico-paziente piuttosto che una esplicita richiesta di un commento sulla correttezza diagnostica. La terapia e la cura sono il frutto di una sintesi diagnostica, basata su un determinato quadro clinico; se il miglioramento è incerto o assente, diventa normale un po’ di preoccupazione. L’intervento medico (indipendentemente dal fatto che sia chirurgico, riabilitativo, psicologico o farmacologico) presuppone una relazione di fiducia e si fonda sul concetto di empatia e appropriatezza della cura. Si deve infatti entrare nello stato d’animo, "nei panni" del paziente, per poter prescrivere una cura "appropriata" ovvero giusta in quel momento e secondo le migliori risorse disponibili senza inutili sprechi. L’intervento medico si deve quindi basare sulla capacità di ascolto del paziente, in maniera da poter adattare le terapie alle effettive esigenze. Nella mia esperienza i pazienti mostrano grande interesse e rispetto nei confronti del medico che cerca di agire secondo scienza (conoscenza tecnica) e coscienza (onestà intellettuale e considerazione del malato). La cura così diventa non solo il farmaco ma anche il linguaggio, le soluzioni concrete per la l’autonomia quotidiana fatta di obiettivi concordati insieme e raggiunti, anche se talora non interamente. Il risultato si manifesta in modificazioni del comportamento relativo alla propria salute, mantenendo aderenza alla terapia medica. Questo a mio avviso è il massimo risultato raggiungibile per  un medico, il cui operato deve mirare non alla diagnosi perfetta ma alla cura più giusta. E allora, forse, per la Signora le proposte terapeutiche non sono state chiarite bene fino in fondo. La spiegazione attiva di obiettivi, motivazioni ed eventuali effetti collaterali dei farmaci aumenta l’aderenza e riduce l’ansia. A dire il vero, per raggiungere questi obiettivi, servirebbe più tempo a disposizione dei medici, mentre in questo mondo sempre più smanioso di efficienza si tende a ridurre la conversazione ad un rapporto meccanico, col risultato di lasciare alla fine il malato solo.

Il mondo degli anziani-fragili ci porta ad un’ultima considerazione riguardante le modificazioni terapeutiche che creano qualche preoccupazione alla lettrice. È un mondo complesso, caratterizzato da più fattori che interagiscono in contemporanea e che richiedono multipli trattamenti, anche farmacologici, e un buon senso clinico. Noi medici dovremmo essere capaci di ottimizzare le decisioni terapeutiche malgrado la mancanza di regole precise per questa tipologia di malato (fragile), il cui bisogno di cura è estremamente variabile. Facciamo un semplice esempio: un paziente affetto da ipertensione arteriosa e insufficienza renale ma anche con dolore da artrosi, potrà sentire come prioritario il controllo del dolore e la gestione della mobilità, mentre per il medico la scelta terapeutica potrebbe essere anche condizionata dalla prevenzione del danno renale e circolatorio. In tale complessa realtà c’è quindi bisogno di concordare obiettivi terapeutici tenendo conto che l’alto numero dei farmaci, indubbiamente utili, possono portare ad effetti indesiderati che necessitano di continue modificazioni posologiche o addirittura sospensioni.

Vorrei però rassicurare che, tranne poche eccezioni, qualsiasi trattamento può essere dato all’anziano fragile, come ad ogni altro malato. Esiste ahimè,il problema della prescrizione impropria ( non esclusiva dell’età avanzata): bisogna porre molta attenzione alle modificazioni fisiologiche e non trovare risposte mediche rapidissime ad ogni problema di salute come richiesto dalla nostra società. Questa visione (oltre che utopistica) ha il grande limite di illudere che per la salute valga sempre il meccanismo di causa-effetto, quando invece "un rimedio fisso e immutabile per una malattia racchiude già un concetto antinaturalistico” (A. Murri). Allora diventa indispensabile la relazione, l’efficace comunicazione basata su informazioni fatte dal medico che mostra di agire secondo scienza e coscienza. L’anziano fragile non ha solo necessità di farmaci: è indispensabile, prima di ogni altra decisione, ottimizzare le sue condizioni di vita. Detto questo, non esistono regole per individuare il dosaggio più adatto al singolo caso, sebbene sia opportuno preferire comunque una dose iniziale più bassa di quella considerata utile nell’adulto. Il controllo del risultato terapeutico si fa immediatamente e di continuo nell’anziano: ogni persona ha un decorso diverso e di fronte ad eventi imprevisti è utile modificare il trattamento prescritto dal medico di fiducia o dagli altri prescrittori. Applicando questa strategia prioritaria tutti gli altri successivi interventi avranno maggiore probabilità di successo.

*gerontologo e geriatra

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