Nella fisioterapia è decisiva la motivazione

Gent. dottore,

a  mio padre hanno consigliato di fare un ciclo di sedute di attività fisioterapica, ma lui non ci vuole andare dal fisioterapista perchè  si stufa e non crede molto nell’utilità di questi esercizi. Sento peraltro che altre persone anziane fanno difficoltà a sottoporsi a queste cure. Lei che ne pensa? Come “motivare” i nostri vecchi?

Lettera firmata

Come faccio a non essere un po’ stupito per la Sua situazione? È molto più facile sentire lamentele perché non si riesce a trovare spazio per una riabilitazione o per il protrarsi dei tempi di attesa. Anche recentemente mi è capitato di incontrare un paziente che già prima di essere operato al ginocchio insisteva per continuare la riabilitazione il più a lungo possibile.

Ritengo che si debbano avere idee chiare sulla riabilitazione, vuoi che sia finalizzata al recupero motorio di una malattia invalidante (ictus, parkinson, infarto, frattura, insufficienza respiratoria), vuoi che sia una terapia di tipo occupazionale, finalizzata al recupero di attività di tutti i giorni o della possibilità di dedicarsi agli hobby con o senza ausili.

Idee chiare significa accettare i programmi di riabilitazione, i quali devono essere ben definiti e con un obiettivo finale chiaro, raggiunto magari a tappe. Il programma deve essere concordato con la famiglia e il paziente stesso e la motivazione della famiglia è essenziale. È stato infatti detto che la migliore motivazione dell’anziano risiede nella motivazione di coloro che vivono con lui.

Conservare rapporti con i vecchi implica la capacità di stabilire con loro una relazione delicata, a volte difficile, fatta di buona volontà, amore, altruismo ma in particolare, capacità di imparare a convivere. Il recupero del paziente dipende sicuramente dal fatto che l’intervento chirurgico sia andato a buon fine ed in secondo luogo dall’efficacia della riabilitazione, ma per un buon 25% dipende dalla motivazione individuale e della famiglia dell’anziano.

Pur dovendosi necessariamente adeguare alle situazioni di salute limitanti preesistenti, la terapia della riabilitazione (perché di terapia si tratta!) è un percorso in cui gli attori devono essere partecipi nella scena e in grande sintonia. I compiti non dovranno essere né troppo facili o ripetitivi (come nel caso della cyclette, pur così importante!) per non annoiare, né troppo difficili per non demoralizzare. Gli elementi decisivi per incentivare la diligenza da parte del paziente chiamato ad un percorso di fisioterapia sono due: non farlo mai sentire abbandonato a se stesso e guidarlo duranti gli esercizi.

La demotivazione del paziente nasce infatti sovente dalla mancanza di una supervisione o di apprezzamenti per i risultati raggiunti (magari a domicilio) e a cui nessuno bada. In questi casi, è come se il cammino inizialmente tracciato con il fisioterapista fosse stato interrotto, la scena chiusa e tutti gli attori avessero smesso il proprio ruolo una volta terminata l’attività in palestra. Invece le attività devono continuare a casa con il controllo a distanza da parte di altri esperti, per favorire il successo a lungo termine.

Chi ha fatto sport conosce bene la distinzione tra essere motivato e essere motivato dalla squadra. Se ci sentiamo spinti, arriviamo prima. Un paziente mi diceva: “…la mia fisioterapista è capace di dare pressione e coraggio. Gabri mi accoglie in palestra e prima mi guarda. Mi osserva, m’invita a sedermi e prima di fare qualunque altra cosa mi sorride. Gabri porta avanti una linea incredibilmente efficace di pressione e incoraggiamento, pressione e incoraggiamento in un ondeggiare perfetto e costante. Non m’illude ma mi premia con sguardi propositivi ed un tono di voce che spronerebbe il più pigro. A fine sessione ci salutiamo con la promessa di rivederci entro breve. Da quando sono entrata in quella stanza non è cambiato assolutamente niente; non ho recuperato trofismo tramite formule magiche, non ho camminato in modo corretto, non sono diventata più forte. È cambiata la mia motivazione e ho avuto la sensazione di essere supportato da persone capaci”.

Non nascondo le difficoltà organizzative quando si parla di fisioterapia, ma non vi è ombra di dubbio che dovremmo arrivare ad ottenere un’organizzazione capace di rispondere ai bisogni diversificati per ogni persona. Il movimento è importante, ma diventa importante sottolineare anche le conseguenze della sua mancanza: insicurezza, incapacità di reazione, di fronte a situazioni inaspettate, peggioramento dello stato d’animo, pigrizia, apatia e scoraggiamento.

La personalità dell’istruttore si rileva determinante nel creare la giusta atmosfera tra i malati. Il suo comportamento contribuisce all’affermarsi di un sentimento di sicurezza e allo sviluppo di interesse anche nell’uso di presidi. Anche un semplice bastone da passeggio può infatti essere considerato assolutamente inaccettabile da un anziano. Esso però non deve essere visto come l’unica risposta al problema: per questo si deve assicurare al paziente che si tratta di una misura temporanea, che verrà abbandonata non appena si saranno ottenuti sufficienti progressi. Viceversa, è talora problematico riuscire a persuadere alcuni pazienti ad accedere alla fase successiva della riabilitazione, cambiando o lasciando da parte il tutore, verso il quale si è stabilito un atteggiamento di eccessiva dipendenza. In particolare, i sussidi per la deambulazione, e soprattutto il girello, possono creare problemi del genere. La difficoltà è spesso dovuta a una paura e ancora una volta può essere superata con la personale motivazione, i consigli e gli incoraggiamenti della famiglia e dei fisioterapisti.

Le scelte operative del geriatra nascono dai principi e dalla cultura geriatrica che riconosce grande importanza all’approccio riabilitativo finalizzato al recupero delle funzioni, al loro mantenimento e al potenziamento dell’autosufficienza. Noi geriatri abbiamo imparato e volentieri possiamo insegnare che “se è vecchio, proprio per questo c’è moltissimo da fare”, e addirittura “se è demente, c’è sempre moltissimo da fare”.

Non possiamo più accettare, e con noi tutto il personale seriamente impegnato nelle attività sanitarie e sociali, di limitarci a preservare lo stato di salute (o meglio di malattia) del paziente. Per questo ribadiamo, con forza culturale e operativa, l’approccio riabilitativo. Certamente gli approcci riabilitativi, i modi, i tempi, i luoghi saranno diversi a secondo delle differenti malattie. Pensiamo al recupero di una frattura, al recupero dopo un intervento chirurgico, al recupero dopo una paralisi motoria o a una paralisi della parola. Pensiamo ai problemi diversi rispetto a pazienti psicologicamente integri o a pazienti che abbiano qualche difficoltà cognitiva o sintomi depressivi o anche semplicemente quella paura che attanaglia dopo una caduta. Ma non possiamo che ribadire la nostra spinta alla riabilitazione, fondata sulla convinzione che una persona sia (quasi sempre) in grado di riprendere le proprie capacità funzionali, di re-imparare a servirsi di tali capacità, così da tornare ad avere relazioni efficaci.

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