“Amore di Dio e amore del prossimo”

Es 22,20-26;

Sal 17;

1Ts 1,5c-10;

Mt 22,34-40

Ogni giorno scioriniamo fiumi di parole per comunicare con chi ci sta accanto; conversiamo per trasmettere informazioni, per chiedere spiegazioni, per abbattere il muro della solitudine,che ci impedisce di entrare in relazione con gli altri. Fa bene parlare, ancora di più ascoltare: si crea un intreccio di notizie, di pareri, perfino di battute, che alleggerisce le nostre tensioni e rasserena i nostri animi. Nel nostro linguaggio, alcune espressioni sono più frequenti, certi termini ricorrono di continuo con significati e sfumature differenti a seconda del contesto. “Amore” è una di queste parole: non passa giorno che non affiori sulle nostre labbra, per esprimere emozioni e sentimenti talora diversissimi.

Nel vangelo, che verrà proclamato domenica, Gesù, rispondendo a un dottore della Legge che lo interpella sul principale dei comandamenti, dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» e ne aggiunge un secondo, simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso».

Stride l’accostamento di questo nobile sentimento all’idea di comandamento: l’amore non può mai essere imposto, perché nasce spontaneamente dal cuore, pervade la mente e orienta la volontà, trasformando la nostra vita in un dono così grande da arrivare al sacrificio della propria vita.

Inoltre, “l’amore è una cosa semplice” come canta il grande Tiziano Ferro in una delle sue splendide canzoni. È essenziale come il pane, di cui abbiamo sempre fame, come l’acqua che placa la nostra sete, come il sole che ci riveste di luce, come lo sguardo, la voce e il corpo di chi si affaccia alla soglia del nostro cuore e lo ammalia con i dolci lacci dell’innamoramento.

Solo chi sa cosa vuol dire innamorarsi comprende l’intensità di quelle antiche parole che Gesù fa emergere dal passato del suo popolo (cfr. Dt 6,5), svincolandole dal dovere farisaico e riconsegnandole agli imperativi del cuore. Sì, è il cuore che mi “comanda” di amare Dio con ogni mia energia, perché se rinuncio a questo sentimento mi privo del profumo della vita, delle fragranze della speranza, delle visioni di un futuro riempito di eternità. L’amore che provo per Dio mi sorprende, mi affascina, dirada la coltre che adombra il mistero della sua presenza, mi fa pronunciare parole di preghiera, che incantano come i fiori, che si dischiudono all’alba al tocco magico dei primi raggi di sole. Non sono forse di un innamorato le espressioni che proclameremo nel salmo responsoriale, quando diremo: «Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mio liberatore, mia rupe, mio scudo, mia potente salvezza e baluardo…»? Non copriamo forse la persona amata di dolci parole nei momenti dell’intimità? L’amore che proviamo per Dio, per essere autentico, deve scaturire dalle viscere della nostra carne e scorrere con il nostro sangue: spinto dal cuore approderà alla mente, irrorandola e ossigenandola di passione. Ricordiamocelo: l’amore per Dio non sarà mai un comandamento, sarà sempre una passione!

In questo vortice di emozioni incontreremo l’Amore, che ci accoglierà, inondandoci con la sua presenza e arricchendo la nostra vita: sarà come guardarci allo specchio e scoprire il meglio che c’è in noi; sarà come imparare ad accettarci e ad amarci, non inebriati dal nostro narcisismo, ma sorpresi dai suoi doni, che ci rendono speciali e finalmente liberi di consegnarci agli altri in uno slancio di generosità. Solo grazie a questa consapevolezza saremo in grado di comprendere il secondo comandamento, ossia amare il prossimo come noi stessi, riconoscendolo come un prolungamento, una naturale conseguenza del primo.

Nella prima lettura dal libro dell’Esodo ci viene ricordato che l’amore per il prossimo si coniuga con i verbi della concretezza e della mitezza: c’è “il forestiero”da non “molestare né opprimere”la vedova e l’orfano” da non “maltrattare”il mantello” preso in pegno “da rendere prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta”.

Un amore così mette alla prova ogni giorno la nostra capacità di aprirci agli altri, non soltanto ai nostri familiari e amici, ma anche agli ultimi e indifesi, che incontriamo sulle nostre strade, ma anche nelle nostre case e nelle nostre chiese.

Il prossimo da amare “come noi stessi” insieme al terzomondiale è anche il giovane disadattato, mio vicino di casa; il drogato, mio parente; l’alcolizzato, mio collega di lavoro; il prete “incasinato”, perché troppo solo, mio confratello; il diverso, mio figlio.

Non lasciamoci mai spaventare dalle ferite profonde di un’umanità provata dai drammi della vita, ma in quei solchi, arati dal dolore, seminiamo a piene mani il nostro amore. Vedrete, attecchirà, crescerà e porterà buon frutto.

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