“Con la fiducia nel cuore”

Ez 17,22-24;

Salmo 91 (92);

2Cor 5,6-10;

Mc 4, 26-34

«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio e con quale parabola possiamo descriverlo?». Con questa domanda Gesù ci coinvolge nella passione che animò tutta la sua vita, nella ragion d’essere di tutta la sua attività, nell’obiettivo di tutti i suoi sforzi. Che cos’è questo regno di Dio? Che cosa evoca in noi? Forse siamo troppo abituati a questa immagine evangelica per percepirne tutta la sua potenza eversiva. Con un’audacia sconosciuta, Gesù sta già qui, con la sua forza creatrice di giustizia, cercando di diffondere la sua signoria tra noi. Il regno di Dio, infatti, non indica uno spazio di potere o un regno di qualità superiore ove Dio può fare il bello e il brutto a suo piacimento, ma «si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali» (EG 180). Non è questo sconvolgente? Non siamo di fronte a una lieta notizia capace di scuotere ogni nostra sicurezza e ogni nostro orizzonte di buon senso? Siamo chiamati a convertirci a questo Dio che sta sempre arrivando nella nostra vita dal momento che Dio Padre non può cambiare il mondo se noi non cambiamo. Dobbiamo prendere sul serio la lieta notizia del vangelo senza edulcorarla poiché «una fede autentica -che non è mai comoda e individualista- implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra» (EG 183). Questo «regno di Dio» va più in là delle credenze, dei precetti e dei riti dal momento che ci spinge dentro un’esperienza di Dio che ci inquieta e che ci sorprende sempre con la sua potenza creatrice. È significativo che Gesù non spieghi mai propriamente che cosa è il «regno di Dio». Quello che fa è suggerire con parabole come agisce Dio e come sarebbe il mondo se i suoi figli e le sue figlie agissero come lui. Proprio per questo noi suoi discepoli siamo sempre in cammino alla ricerca di questo regno di Dio e mai arrivati. Sempre chiamati a entrare in questa logica e dinamica del regno di Dio. Dobbiamo risvegliare la nostra responsabilità. Infatti, ascoltare una parabola significa sempre lasciarsi interrogare nella nostra libertà, significa fare una scelta e farla dal di dentro della nostra vita. Due sono le parabole annunciate dal vangelo di questa domenica ed entrambe nel segno della vita nascente. Si racconta di un’energia, di un dinamismo e di una crescita silenziosa ma efficace: «così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme nel terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce». Più volte Gesù ricorre all’immagine del seme perché trasmette con efficacia quale atteggiamento dobbiamo avere di fronte all’annuncio del regno di Dio: stupore, meraviglia e fiducia incrollabile. Non è vero che la storia debba scorrere inevitabilmente per strade d’ingiustizia e sofferenza, Dio è impegnato nel promuovere un mondo differente e migliore. E noi con Lui. Il regno di Dio sta già agendo segretamente nella vita di ciascuno. Come il contadino di fronte al seme gettato in terra non può far nulla così anche noi di fronte alla realtà del regno di Dio, potenza misteriosa, silenziosa, irresistibile ed efficace non possiamo far altro che avere fiducia nella sua potenza. Custodire la meraviglia e la gratitudine di fronte a questo Dio che non si arrende mai, ma che continua a lavorare nei cuori di ogni sua creatura perché nasca un mondo dove si cercano la giustizia e la dignità di tutti gli esseri umani, incominciando dagli ultimi. Siamo chiamati a stare dentro la nostra vita con occhi spalancati e penetranti per scorgere nelle piccole cose, nell’apparente scorrere sempre uguale dei nostri giorni «lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga» del regno di Dio. Divenendo in questo affidamento totale all’azione di Dio profeti di speranza e non di sventura, «strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società, questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (EG 187).Questa attenzione particolare di Gesù alla piccolezza e alla potenzialità interna del regno di Dio ci interpella in prima persona sia per la nostra personale ricerca di fede sia per le nostre comunità cristiane. Soprattutto oggi dove si dimentica facilmente che cosa significa essere cristiani secondo il Vangelo. È necessario reagire sviluppando in maniera paziente e con grande fiducia del cuore segni liberatori del Regno di Dio che Gesù praticava nella vita: segni di compassione, di giustizia, di denuncia, di cura, di vicinanza solidale. Non lasciamoci rubare la forza eversiva del regno di Dio!

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