“Cristo re e pastore”

Ez 34,11-12.15-17;

Sal 22;

1 Cor 15,20-26.28;

Mt 25,31-46

Con la solennità di Cristo Re dell’universo concludiamo quest’anno liturgico, un segmento di tempo visitato da Dio e reso santo dai suoi doni di grazia, dalla sua Parola e dalla sua presenza nel volto e nella vita di tanti nostri fratelli. L’evangelista Matteo ci ha tenuti per mano, additandoci il Signore come l’unica via della nostra salvezza.

Questo “viaggio”, iniziava un anno fa con l’Avvento, tempo di attesa trepidante della nascita del Salvatore in un’umile stalla a Betlemme, oggi lo concludiamo con le parole di Gesù, che ci dice all’inizio del vangelo di questa domenica: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria… siederà sul trono della sua gloria». Siamo passati da una greppia, resa “confortevole” da un pugno di paglia, a un trono di gloria; da un neonato, stretto tra le braccia di sua madre, una giovane incredibilmente vergine, al Re supremo, circondato di angeli; da una famiglia di persone semplici, ma dignitose, di un villaggio sconosciuto, di Nazareth, in una regione lontana da Gerusalemme, in Galilea,alla gloria della Maestà divina. Ne abbiamo fatta di strada!

Domenica dopo domenica, il Signore ci ha parlato e si è fatto conoscere: i suoi insegnamenti scorrevano nella nostra vita, corroborando la nostra fede, suscitando nella nostra mente pensieri di speranza e nel nostro cuore propositi di bene; i suoi miracoli ci ricordavano che l’essere in comunione con Lui è un prodigio sempre in atto; i suoi incontri, specialmente con gli emarginati e i sofferenti, ci confermavano che nessuno arriva ultimo al traguardo nella corsa della vita, anzi, che per tutti c’è la possibilità di salire vittoriosi sul podio della salvezza.

Ha voluto dirci tutto, di più, darci tutto nella sua Pasqua. Lo dileggiavano durante la sua passione, chiamandolo con beffarda ironia “Re dei Giudei” (Mc 15,18). Oggi la liturgia ci ricorda che Egli è davvero il Re non di un solo popolo, neppure dell’intera umanità, ma dell’universo, dove ogni ristrettezza umana si perde come una goccia nell’oceano. Nonostante ciò, il suo trono rimane l’albero della croce, da dove continua a germogliare la misericordia, e la sua reggia quel sepolcro ormai vuoto, dal quale è uscito per essere la“primizia di coloro che sono morti”, come lo definisce san Paolo nella seconda lettura.

Oggi con gioia ci riconosciamo discepoli di questo strano Re, che preferisce assumere le sembianze di un pastore, dimostrando amorevolezza per le sue pecore, specialmente per le più fragili e indifese, infatti, “va in cerca della pecora perduta e riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata…”, come ci ricorda il profeta Ezechiele nella prima lettura.

L’attenzione per i chi vive ai margini del mondo è il suo tratto inconfondibile: è venuto su questa terra per additare i bambini come esempio per “entrare nel regno dei cieli” (Mt 18,3), per dire a una peccatrice «Neanch’io ti condanno» (Gv 8,11), per chiedere da bere a una samaritana (cfr. Gv 4,7), per dire a Lazzaro: «Vieni fuori» (Gv 11,43) e con lui far uscire ogni uomo dai suoi sepolcri, liberandolo dalle bende dell’egoismo e dell’odio, che gli imprigionano il cuore.

Il vangelo ci rimanda al giudizio finale, quando “davanti a Lui verranno radunati tutti i popoli e separerà gli uni dagli altri, come il pastore… e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”: quelli alla destra saranno chiamati “benedetti del Padre mio” e verranno invitati a“ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo”maledetti” e cacciati “lontano, nel fuoco eterno”. Gesù ci dirà: «Ho avuto fame, sete, ero straniero, nudo, malato in carcere… e, mossi da compassione, avete sciolto le briglie del vostro cuore e mi avete soccorso, non facendomi mancare nulla:oggi avrete tutto nella pace del mio cuore»; ma potremmo anche sentirci dire: «Ho avuto fame… e siete rimasti indifferenti, non facendo nulla per me:il vostro cuore continuerà a rimanere sigillato dall’egoismo per l’eternità».

In quell’evento straordinario Gesù ci ricorderà che era realmente presente nei “fratelli più piccoli”,nei derelitti, nei poveri, che giorno dopo giorno incontriamo sulle nostre strade, nelle nostre piazze, a casa nostra e in ogni luogo, dove l’umanità soffre e tende le sue mani in cerca di aiuto. In quell’ora suprema non ci porrà tante domande, men che meno contabilizzerà le messe celebrate o i rosari recitati, ci chiederà soltanto: «Hai amato?». A seconda della nostra risposta varcheremo la soglia della Speranza o vagheremo disperati, lontano dal suo volto.

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