“Dal niente al poco donato”

2Re4,42-44;

Sal 144;

Ef4,1-6;

Gv6,1-15]

Condividere il pasto è superare l’estraneità e l’ostilità, è instaurare tra i commensali un vincolo di amicizia. Ma un pasto può diventare persino un vero e proprio rito, un modo per riconoscere la comune umanità e celebrare il dono della vita. Il tema del mangiare insieme attraversa tutta la Scrittura e non è certamente un caso che Gesù scelga il simbolo del pane per raccontare i tratti del suo volto e di quelli di suo Padre. È davvero significativo che tutti i quattro evangelisti abbiano raccontato il miracolo della moltiplicazione dei pani. In esso riconoscevano l’anticipazione dell’eucaristia, ossia la bellezza di un Dio che si fa pane, nutrimento e vita in abbondanza per tutti. Gesù è il protagonista e il regista di quanto ascoltiamo nel famoso brano evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, evento storico che custodisce un molteplice significato biblico e teologico. È come se l’evangelista Giovanni volesse accostare Gesù alla figura di Mosè che si reca sul monte per ricevere la Legge e questo suo salire al monte esprime un atto di insegnamento e anche di culto. Infatti ci viene detto che «era vicina la Pasqua» (v. 4), e la folla non ascende al monte del tempio a Gerusalemme, ma segue Gesù sul monte dove non verranno sacrificati grassi agnelli, ma verrà offerto pane insieme al senso profondo della vita. Il richiamo della manna data a Mosè e al popolo nel deserto è sottointeso: quel «pane degli angeli» si corrompeva dopo un giorno, eccetto quello del venerdì che si conservava anche per il sabato (Es 16,5) e quello conservato nell’arca dell’alleanza (Eb 9,4). La manna che non si corrompeva, dunque, aveva a che fare con il culto poiché serviva per la festa del sabato e per essere conservata nell’arca simbolo della presenza permanente di Dio. Ora, i gesti di Gesù sul monte vogliono richiamare quel Dio che si prende cura di ogni nostro desiderio e che ci insegna a «fare eucarestia» nella vita di ogni giorno. È Lui la nuova manna che rimane per essere custodita. Non solo il Signore si prende cura di noi, ma lo fa con sovrabbondanza, tanto che il pane risulta essere non solo sufficiente, ma in eccesso. Questo nutrimento sarà un dono di Gesù, il cibo apparecchiato dalla sua sapienza che nessun denaro può comprare e che è offerto gratuitamente come ascolteremo nelle prossime quattro domeniche. Il pane che Egli dà è prima di tutto pane materiale. Sbaglia chi volesse fare come quell’individuo della prima lettura, intento ad offrire venti pani d’orzo e farro ad Eliseo come culto fatto a Dio, omettendo anzitutto di condividere quel pane con quanti hanno bisogno; rischierebbe di non fare un atto di culto a Dio, il quale ci ricorda: «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 12,7; Os 6,6). Gesù ci insegna a vedere, ascoltare, capire le vere esigenze della gente e a imparare il suo modo personale di rispondere ad esse. È come se ci suggerisse che non si può celebrare l’eucaristia se non si è fatta esperienza di condivisione, altrimenti la nostra celebrazione eucaristica rimarrebbe vuota. Occorre guardare attraverso gli occhi di Gesù, il quale «alzati quindi gli occhi, […] vide che una grande folla veniva da lui» (v. 5). Gesù vede, si preoccupa, si prende cura e offre non solo «pani d’orzo», ma anche la possibilità di condividere «il pane» della solidarietà, della carità, della prossimità e dell’umanità evangelizzata. È questione di desiderare il bene, che è anche ciò che Dio vuole. Se siamo in conflitto con le persone che amiamo, non ci basterà il cibo che mangiamo. Se siamo in pace con noi stessi, con gli altri e con Dio, ci sazierà anche il poco. Proprio per questo Gesù mette alla prova i suoi discepoli: è strano infatti sentir dire da Gesù “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” (v 5); Filippo sente il termine «comprare» e parla subito della pochezza dei 200 denari in loro possesso. Andrea, allarga gli orizzonti e “fidandosi” di Gesù, replica: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9). Proprio quel poco condiviso farà scaturire l’abbondanza dei dodici canestri «con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato». I «pani d’orzo» sono il nutrimento dei più poveri, ma anche i pani per il culto quasi a dire che la celebrazione autentica del Dio vivente passa necessariamente attraverso il prendersi cura dei più poveri. Occorre lasciarsi condurre, come Filippo e Andrea, a cambiare prospettiva: il poco donato moltiplica il bene possibile e la differenza sta nell’offerta, nell’apertura, nel prendersi a cuore il bisogno dell’altro con tutto quello che noi siamo. In quel pane offerto in abbondanza Gesù indica la via per vivere in pienezza ogni situazione: consegnare sé stessi in ciò che si dona per rimanere nel respiro della comunione. Saliamo sul monte anche noi, oggi, insieme a quanti attendono di vivere con dignità e con libertà e impariamo a celebrare l’eucaristia in modo autentico diventando noi stessi «pane spezzato e vino versato». Con il nostro poco offerto, sempre impari di fronte alla folla affamata, il Signore, pane di vita, farà scaturire abbondanza di vita vera perché «se, in positivo, siamo gratuità e dono, coltiviamo il giardino dell’umano. [ ….

In questo mondo dell’utilità e della necessità, dove le prove di forza sono all’ordine del giorno, serve una pedagogia della gratuità. Chi può educare alla gratuità, se non chi di essa vive? Questa è anche la radice del dono in Dio. Gratuito, senza calcoli, senza aspettative, senza certezza di un ritorno.» (Vescovo Lauro, Lettera alla Comunità, giugno 2018).

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