Grande è la misericordia di Dio

Is 49,1-6;

Salmo 138 (139);

At 13,22-26;

Lc 1,57-66.80

La festa della natività di Giovanni il Battista è una solennità antichissima già celebrata da sant’Agostino in Africa nel IV secolo. Accanto a Maria, la madre del Signore, Giovanni il Battista è il solo santo di cui la chiesa celebri non solo il giorno della morte, la nascita alla vita eterna, ma anche la nascita alla vita in questo mondo. Questo indica l’importanza capitale di Giovanni nell’economia cristiana: la sua vita e la sua predicazione sono tratteggiate con colori e con toni molto simili al Cristo che egli annunzia. È Giovanni che ci indica chi è il Cristo e chi sono i suoi discepoli. L’evangelista Luca, infatti, racconta la nascita e le prime tappe della vita di Giovanni intrecciandole con quella di Gesù. Come Gesù la vita di Giovanni suscita meraviglia e immensa gioia. Come Gesù il suo nome indica la missione della sua vita («Il Signore fa grazia»). Come Gesù «cresceva e si fortificava nello spirito». Come Gesù egli è spinto nel deserto, nella solitudine, nel dialogo serrato con Dio e nella penitenza. Come Gesù la sua vita è la testimonianza audace di una vita totalmente donata a Dio. Come Gesù la forza della Parola di Dio lo sostiene e lo nutre. Come Gesù annuncia la necessità di accogliere Dio che si fa vicino nel suo Regno.

Questo intersecarsi di vicende ha portato alla scelta della data del 24 giugno per celebrarne la memoria: se la chiesa ricorda la nascita di Gesù il 25 dicembre, non può che ricordare quella di Giovanni al 24 giugno, essendo essa avvenuta, come testimonia il Vangelo secondo Luca, sei mesi prima. Se il 25 dicembre è la festa del sole vincitore, che comincia ad accrescere la sua declinazione sulla terra, il 24 giugno è il giorno in cui il sole comincia a calare di declinazione, proprio come è avvenuto nel rapporto del Battista con Gesù, secondo le parole dello stesso Giovanni: «Egli deve crescere e io diminuire» (Gv 3,30). Giovanni è il precursore di Gesù nella nascita, nella missione e nella morte.

Guardando a Giovanni noi impariamo che cosa significa essere discepoli e discepole di Gesù dal momento che tutto il senso della sua vita «è indicare un altro». Così dovrebbe essere anche per ogni cristiano. Conoscendo la vita di Giovanni siamo introdotti nel mistero di ogni vita cristiana chiamata a essere dono visibile di quel Dio che si fa vicino a ogni persona accogliente della sua misericordia. Celebrando la Natività di Giovanni Battista noi celebriamo un Dio che parla non solo alla profondità di noi stessi, ma parlando ci costituisce, ci fa esistere, crea e modella la nostra vita perché «il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente» (Gaudete et exsultate, 1).

La prima lettura ci presenta il secondo canto del servo del Signore ove la missione del servo si specifica meglio nella linea di una percezione di stare a fare qualche cosa di inutile. La consapevolezza della propria chiamata, infatti, è strettamente legata alla percezione di una inutilità esistenziale: «il Signore mi ha chiamato dal seno materno, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome ….mi ha detto: Mio servo sei tu … io ho risposto: invano ho faticato, per nulla e vanamente ho consumato le mie forze, però certo il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa è presso il mio Dio». Per tre volte il servo del Signore dice con tre avverbi diversi che quello che sta facendo sembra inutile: invano, per nulla, vanamente. Questa idea di vuoto, di inutilità, di inconsistenza, di girare a vuoto fa parte dell’essere servi del Signore perché sembra che noi portiamo avanti discorsi, criteri, logiche, strategie che non sono quelle del mondo, che sembra non sapere che farsene del nostro servizio. La missione è di Dio e noi siamo inadeguati, sempre. Spesso si ha l’impressione di ritrovarci a mani vuote perché i risultati del nostro servizio non sono mai verificabili, solo Dio lo può verificare e dunque giustamente dice il servo “solo in Lui è la nostra ricompensa”. Riconoscere che la missione è del Signore vuol dire essere servi come Giovanni: in questa esperienza di spossesso radicale, di essere servo di qualche cosa che non è mio, noi possiamo allora davvero dare tutto fino alla fine perché abbiamo la certezza che il Signore è la nostra unica forza. In questo il segreto della vita di Giovanni e della nostra: totalmente donata a Dio e radicalmente fondata sulla sua Parola. Non stare mai al centro perché chiamati a fare spazio al Signore, a indicare Lui e a lasciare risuonare la Sua Parola, non la nostra. Prima del figlio lo avevano capito i vecchi genitori, Zaccaria ed Elisabetta, i quali, dopo aver sperimentato l’impotenza della sterilità, comprendono ciò che nella vita di fede è veramente essenziale: la misericordia di Dio. Liberi di fronte alla tradizione religiosa, familiare, culturale giudaica con audacia proclamano che quel figlio si chiamerà Giovanni perché totalmente donato da Dio. Essi hanno vissuto di questa promessa divina e ora non possono più tacere. La loro vita si trasforma in un cantico di benedizione e in una lieta notizia: Dio ci ha voluto, ci ha pensato e ci ha chiamati all’amore. Nessuno di noi agli occhi del Signore è estraneo, è piccolo, ma davanti a lui siamo «una meraviglia stupenda». Ecco la prima vocazione di ogni discepolo e discepola di Cristo: credere di essere amati da Dio. Rispondere con la vita al dono di Dio. Questa è l’«eucaristia» che siamo chiamati a celebrare ogni giorno: offrire la nostra vita, senza eroismi, cercando di «credere all’amore». Con l’«umile risolutezza» di Giovanni Battista.

a cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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