“La Trinità: il mistero di un Dio plurale”

Es 34,4b-6.8-9;

Sal Dn 3,52-56;

2 Cor 13,11-13;

Gv 3,16-18

“Dimmi che idea di Dio hai e ti dirò che cristiano sei”. Davvero non sapendo come rompere il ghiaccio, vi propongo questo rimaneggiamento di un noto proverbio popolare, per iniziare a balbettare qualche mozzicone di frase sul mistero più impegnativo e, nel contempo, più affascinante della nostra fede: la santissima Trinità. Domenica riprenderemo il Tempo Ordinario, celebrandone la solennità.

Vi dirò che da giovane studente di teologia l’argomento “Trinità” mi sembrava particolarmente ostico per via di certe processioni che, a detta dei teologi più illuminati, avvenivano tra le Persone divine. Mi smarrivo in quei ragionamenti e, per non darmi per vinto di fronte a tali inutili complicazioni, cercavo una scorciatoia, convincendomi che si trattava di un mistero. Oggi le cose sono cambiate, non perché io abbia compreso qualcosa in più rispetto ad allora, ma perché mi sento capito da Dio.

Quante volte mi è capitato di insegnare ai bambini a farsi il segno della croce, esperienza comune a tanti genitori e nonni, e di rimanere sorpreso dal loro interesse, dalla volontà di imparare, nonostante le difficoltà nel coordinare i movimenti e nel ricordare le sequenze del gesto. Diventa motivo di gioia per i piccoli saper fare bene il segno della croce e lo esibiscono come un trofeo, ripetendo con confidenza quei tre Nomi, di cui comprendono ancora poco. Tuttavia, intuiscono che con quel gesto i Tre entrano nella loro vita, li abbracciano e li proteggono. Sentirsi capiti, accolti e custoditi da Dio è il primo passo per varcare la soglia di questo grande mistero.

Il brano della prima lettura dal libro dell’Esodo ci descrive l’incontro tra Dio e Mosè. Dio si presenta: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Colui che sta per rinnovare il patto d’amicizia con il suo popolo, donandogli una Legge da rispettare, esigendo quindi un coinvolgimento basato sul rispetto delle regole e sulla fedeltà – impegni, ahimè, spesso disattesi da Israele – svela la “debolezza” del suo amore. L’Onnipotente si toglie l’armatura del suo potere e indossa la tunica dimessa della misericordia, della pietà, della mitezza e dell’amore difeso a oltranza. Si manifesta Padre e Madre ad un tempo.

Finalmente scopriamo perché Dio ci ha creati: aveva bisogno di sentirsi genitore, di guardare a noi, suoi figli, con quel sentimento ineguagliabile che sperimenta solo chi genera. Prova per noi la stessa tenerezza struggente di ogni mamma, che dopo il travaglio del parto distende le sue membra stanche e ancora provate da un intenso dolore e trova la forza di accogliere fra le sue braccia il frutto del suo grembo, pronta a porgergli il seno, perché si nutra e cresca.

Mosè sente di poter chiedere a questo Genitore tanto attento di continuare con il suo popolo questa relazione così intima e profonda: «… che il Signore cammini in mezzo a noi». Come l’antico Israele, così anche noi possiamo contare sulla sua vicinanza: Dio ci protegge, ci guida e ci perdona. Quando ci dimostriamo di “dura cervice”, ci rimprovera e ci corregge con la severità di un padre; ci offre nuove opportunità per ricominciare, perché vuole il meglio per noi, la nostra salvezza.

Nel vangelo Gesù, dialogando con Nicodemo, dice: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio ha mandato il Figlio…, perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Per amore il Padre ha donato al mondo suo Figlio; per amore Cristo ha offerto la sua vita sulla croce, per non perderci, per liberarci dal peccato.

San Paolo nella seconda lettura rivolgendosi ai Corinzi parla della “grazia” di Gesù Cristo dell’“amore” di Dio Padree della “comunione” dello Spirito Santo come doni concessi alla Chiesa. Dio si rivela come mistero di comunione e di dialogo tra il Padre e il Figlio e il loro amore è così intenso da personificarsi nello Spirito Santo; la loro prossimità è così intima da apparire un unico Dio.

Questa reciprocità delle tre Persone divine, cadenzata da un dialogo incessante, si diffonde e mediante lo Spirito ci raggiunge: la Trinità è la Famiglia divina che si allarga per accoglie la famiglia umana, il mondo intero.

Crediamo in un Dio “plurale”, che ci coinvolge nella sua vita, disseminando tracce di comunione sul nostro cammino. Fin dal giorno in cui ci ha creati ha impresso in noi la sua immagine, facendoci simili a Lui, ossia “programmati” per dare il meglio di noi stessi nelle relazioni. La vita non può essere una fuga in solitaria, ma l’immersione in un “noi” dove troviamo un mondo di fratelli, con i quali realizziamo il “sogno di Dio”, che “è lì dove c’è pace, fiducia e abbandono” (Card. Martini).

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