Perché mai i ricchi non vedono i poveri?

Amos 6,1a.4-7;

1 Timoteo 6,11-16;

Luca 16,19-31

Lo si ripete fino alla nausea che il mondo è spartito male: chi ha troppo e chi ha troppo poco o niente. C’è chi si preoccupa per cosa fare questa sera, dove andare a cena, e chi si preoccupa di mettere solo qualcosa sotto i denti per arrivare a domani. Quella del ricco che banchetta allegramente e del povero Lazzaro che tira cinghia tutti i giorni è una parabola inventata da Gesù, il quale sa benissimo di raccontare semplicemente quello che accade in realtà: è una storia drammatica che accade ogni giorno, in tutti i Paesi del mondo. Personalmente non mi sono mai trovato nelle vesti del povero Lazzaro, non ho mai sofferto la fame e l’emarginazione come lui. Ma dev’essere tremendo trovarsi bisognosi, sofferenti, e vedere che tutti gli altri invece sono allegri e passano accanto senza degnare nemmeno di uno sguardo. Ebbene, il povero Lazzaro – o i molti poveri Lazzari di questo mondo – questa esperienza la fanno tutti i giorni della loro vita: possono essere anziani, oppure bambini, giovani e adulti, uomini e donne senza differenze. Ce l’hanno detto e stradetto – tanto che ci dà quasi fastidio risentirlo – che i beni di questa terra sono come una grande torta: una minoranza dell’umanità (il 20%) si è presa la parte più grossa, mentre alla maggioranza (l’80%) è rimasta solo una piccola fetta. Nulla di strano che a molti non arrivino neanche le briciole. Nella parabola Gesù afferma che il povero Lazzaro ambiva almeno a queste (che cadevano dalla mensa del ricco), ma a quanto pare i cani arrivavano prima di lui.

Ci hanno anche detto e stradetto che noi occidentali (europei, quindi anche italiani), siamo tra quei pochi che si son presi la fetta più grossa della torta. Sono cose che sappiamo da anni, ma solo in teoria; in pratica, cosa cambia? In fondo noi i veri poveri non li vediamo mai alla nostra porta; sì, ogni tanto incontriamo qualche accattone per le vie della città, o alle porte delle chiese (e resta da vedere se quelli sono i veri poveri). Alla nostra porta, in ogni caso, non bussano mai.

E poi, uno che è ricco perché ha lavorato sodo e con diligenza, perché mai dovrebbe spartire quello che ha con il povero Lazzaro? Perché dovrebbe sentirsi responsabile di chi non ha neanche un pezzo di pane da mettere sotto i denti? Uno che lavora tutti i giorni, perché non può godersi il suo stipendio come gli pare e piace, senza dover pensare anche ai poveri del terzo o del quarto mondo? E chi ha sgobbato tutta una vita perché non può godersi la sua meritata pensione senza lasciarsi mancare alcuna comodità? Perché dovrebbe pensare anche al povero Lazzaro che magari è in Africa, o in Brasile, o forse alla porta accanto? Genitori e nonni non lasciano mancare niente ai figli e ai nipoti (niente del necessario, intendo, perché certuni danno loro anche il superfluo), ma visto che ne hanno la possibilità, perché non lo dovrebbero fare? Sto semplicemente ripetendo quelle domande che molta gente si pone… Ma c’è una risposta a queste domande?

Se è vero (com’è vero) che noi siamo tra quei pochi che si godono la fetta più grossa della torta, allora non ci vuol molto a capire che probabilmente non siamo affatto nel giusto. I nostri diritti a godere quello che abbiamo, quello che guadagniamo, a spenderlo come ci pare e piace, forse assomigliano un po’ ai diritti dei ladri che vogliono godersi tranquillamente quello che hanno rubato. C’è una differenza però tra noi e i ladri: questi ultimi sanno di aver rubato, noi invece non lo sappiamo, o lo scordiamo facilmente. Perché viviamo in un sistema tanto ben organizzato e complesso che è possibile perfino vivere da ladri, senza sentirsi tali. È una strana situazione la nostra, un sistema così ben articolato che è difficile accorgersi di stare dalla parte dell’ingiustizia, anzi, tutto tende a farci credere che siamo nel giusto, che è nostro diritto avere, possedere e spendere, senza rimorso alcuno. Ma c’è un particolare nella parabola evangelica che non ci deve sfuggire: il povero Lazzaro non era affatto lontano dalla casa del ricco, era lì alla sua porta… Possibile che non l’abbia mai visto? E perché? Per lo stesso motivo per cui molti, anche al giorno d’oggi, non vedono affatto i poveri: ne possono parlare i giornali, la televisione, ma restano indifferenti: non li vedono, perché la loro ricchezza – poca o tanta che sia – è come un muro di protezione che li circonda e impedisce di vedere al di là di loro stessi. Sì, il vivere da ricchi rende ciechi. E allora, che fare? Una verifica anzitutto, quella stessa che Gesù esorta a fare da più Domeniche ormai: chi è il centro della tua vita? Cosa ami, cosa cerchi tu soprattutto? A chi hai attaccato il cuore? Perché tutto dipende da questo: “Dov’è il tuo tesoro – ciò a cui tieni di più – là è anche il tuo cuore”. Domenica scorsa il Signore ci invitava a scegliere chi servire: o Dio o la ricchezza disonesta. Se decidi di servire Dio, allora sì che vedi il povero Lazzaro, vicino o lontano che sia, e viene da sé il condividere con lui ciò che hai. No, non bastano le statistiche degli economisti, o i documentari televisivi sulla fame del mondo, per farci cambiare cuore e mentalità: ci occorre il Vangelo, ascoltare Gesù, il nostro unico Maestro. Al povero egli dà un nome: si chiama Lazzaro. Il ricco invece è anonimo, perché la ricchezza disonesta sbiadisce e offusca perfino l’identità di chi la possiede.

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