“Tu sei il Cristo”

Is 22,19-23;

Sal 137;

Rm11,33-36;

Mt 16,13-20

Quando ci sentiamo sicuri di noi stessi? Quando abbiamo la certezza che le persone, che più contano nella nostra vita, ci amano e pensano bene di noi. L’amore dei nostri familiari e dei nostri amici è simile a una casa, dove trascorriamo buona parte del nostro tempo e ci sentiamo a nostro agio, protetti, circondati di tutto ciò che rende belli e sereni i nostri giorni. Abbiamo bisogno per vivere di cuori accoglienti, che pulsano per noi. Quando viene meno o non è particolarmente intenso questo intreccio di relazioni, le nostre sicurezze si sgretolano e crollano.

Lo vediamo nei bambini e negli adolescenti che vivono situazioni familiari conflittuali o che, pur trovandosi in famiglie normali, tuttavia vengono trascurati da genitori troppo impegnati o semplicemente distratti. Sfogano il loro disagio, assumendo atteggiamenti di rifiuto di ogni regola; l’autostima s’indebolisce, l’insicurezza ha la meglio, disseminando macerie di scarso profitto a scuola, di comportamenti aggressivi da bulloo, al contrario, di atteggiamenti di timidezza eccessiva, che li estraniano dal gruppo dei pari.

Lo stesso vale per gli adulti e gli anziani: dubitare dell’amore dei propri carigenera un senso di smarrimento edi sconforto. Qualcuno fa naufragio, dando la morte alla persona, che nutriva di affetto la sua vita, o facendola finita.

Anche a Gesù interessava l’opinione degli altri. Nel vangelo, che ascolteremo domenica, chiede ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Il Signore, uomo come noi, cercava dei riscontri, voleva accertarsi che il suo operato stesse aprendo brecce nei cuori, per permettere specialmente ai piccoli e agli umili di stare al cospetto di Dio. Non era forse questa la sua missione: rivestire di grazia l’umanità e ricondurla in quel giardino dove Adamo, reso nudo dal suo peccato, si era nascosto, oppresso dalla paura (cfr. Gen3,10), e ravvivare l’antica fiamma dell’amore tra Creatore e creatura, da Cuore a cuore?

Non gli bastano le impressioni sommarie e confuse della gente, che lo ritiene un grande, un profeta e nulla più. Vuole altre risposte, modulate dalle vibrazioni delle corde del cuore.

Restringe il campo e senza tanti preamboli interpella i discepoli, dicendo: «Ma voi, chi dite che io sia?». E Simon Pietro risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Siamo abituati a interpretare queste parole come una professione di fede, una sorta di embrione del Credo, pronunciato “ex cathedra” dal “primo Papa”.

Abbandoniamo per un istante le nostre certezze dogmatiche, usciamo dalla basilica di San Pietro e, risucchiati da duemila anni di storia, ripercorriamo le strade polverose della regione di Cesarea di Filippo, per raggiungere il gruppo dei discepoli e sentire rivolta anche a noi quella domanda. La risposta di Pietro, il pescatore di Galilea, rispecchia anche il nostro pensiero, tuttavia immagino che ognuno di noi senta il bisogno di aggiungere con parole sue ciò che prova per il Signore.

Personalmente mi piace librarmi sulle ali del cuore e sussurrargli nella preghiera: «Tu sei il Sole che inonda di luce ogni mio giorno, la Stella che orienta e rende certi i miei passi nelle notti più buie, la Roccia a cui mi aggrappo, quando il mio piede cede e rischio di precipitare nel baratro. Sei il Volto umano di Dio, il suo Sguardo indulgente, che mi accoglie sempre con misericordia, la Parola, che dice tutto di Lui. Sei suo Figlio e grazie a Te posso rivolgermi a Dio, chiamandolo Padre».

Gesù chiama Pietro “beato”, felice, perché la sua fede, la sua adesione al Signore, è suscitata dal Padre. Lo rende roccia, su cui edificherà la sua Chiesa, e gli consegna “le chiavi del regno dei cieli”. Pietro è la roccia, perché la Chiesa si affiderà alla sua testimonianza di amore per Cristo Signore; detiene le chiavi del Regno, perché non tema mai di aprirne le porte: c’è un popolo che attende, che vuole entrare, che chiede il lascia passare, per varcare quella soglia, che immette nel cuore stesso di Dio.

Pietro rappresenta ciascuno di noi, che si sente felice di aver incontrato il Signore e sa che questo legame, che si è creato con Lui, è pura grazia, dono esclusivo di Dio. Anche noi siamo resi roccia, baluardo del suo amore, pietre vive di una Chiesa, che sogniamo sempre meno centro di potere pachidermico e obsoletoe sempre più famiglia, splendida comunione di cuori dal battito sintonizzato sulle frequenze di quel Cuore, che pulsa amore dall’eternità. Anche noi ci sentiamo investiti del “potere delle chiavi”, per aprire ogni porta, di più, per diventare noi stessi porte aperte, che conducono a Cristo.

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