“Un cuore leggero per fare la volontà del Padre”

[Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32)

Quando entriamo in confidenza con una persona, ci viene spontaneo cercare di conoscerla, di capire qualche tratto del suo carattere, se poi ci accorgiamo che dietro a un sorriso forzato si nascondono doppiezza e ipocrisia, allora, in men che non si dica, interrompiamo la relazione. Purtroppo, nonostante la nostra buona volontà, ci capita di tanto in tanto di dover diffidare di qualcuno proprio per la sua insincerità.

Anche il Signore detestava cordialmente le persone viscide, se la prendeva in particolare con le autorità religiose, quando riscontrava in loro comportamenti subdoli, per nulla consoni al loro ruolo religioso e sociale. Infatti, è indirizzata proprio a loro la parabola, che ascolteremo nel vangelo di questa domenica.

Nel racconto incontriamo un padre con due figli, ai quali si rivolge esortandoli ad andare a lavorare nella sua vigna. La reazione dei due ragazzi è però profondamente diversa: il primo, un ribelle nato, lo liquida con un no categorico, aggiungendo: «Non ne ho voglia», poi pensandoci su, decide di andare nella vigna; il secondo, di carattere ambiguo, prontamente gli risponde: «Sì, signore», ma con la stessa solerzia stabilisce in cuor suo di non andarci. Due modi di comportarsi diametralmente opposti, entrambi discutibili, accomunati da una concezione sbagliata del padre, ritenuto un padrone esigente.

Il ribelle si pente. Si rende conto di aver deluso suo padre, che giudicava intransigente e severo, perché lo mortificava limitando la sua esuberanza con imposizioni opprimenti, ma che tuttavia si preoccupava per il suo bene, per il suo futuro. Comprende che la sua risposta affrettata è andata sopra le righe. Cambia idea e “compie la volontà del padre”: in fin dei conti suo padre ha ragione, meglio dargli retta e lavorare nella sua vigna.

Il secondo è un meschino, sta costruendo la sua vita sulle sabbie mobili della falsità. Risponde come a un generale, ma ha già scelto di ingannare il padre, senza concedersi una possibilità di ripensamento. E’ un ipocrita, da cui guardarsi: non merita alcuna fiducia.

Fuor di metafora, il Signore biasima l’ipocrisia dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo, che come il secondo figlio del racconto nascondono dietro a una religiosità formale e di facciata un’anima iniqua (cfr. Mt 23,27), per il fatto che “dicono e non fanno” (Mt 23,3), e aggiunge: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio», quando come il figlio ribelle si pentono e si convertono.

L’insegnamento della parabola naturalmente vale anche per noi. Gesù ci ricorda che quei due atteggiamenti di opposizione e di ambiguità, così ben tratteggiarti nel racconto, possono insinuarsi anche nel nostro cuore e perfino coesistere, compromettendo la nostra fede e provocando una doppia reazione, di insofferenza e di menzogna a un tempo. Anche noi rischiamo di avere le idee confuse su Dio, ritenendolo un padre-padrone, che impone e minaccia, un contabile pronto a retribuire i nostri meriti con la promessa del premio celeste e a evocare per i nostri errori lo spettro del castigo eterno.

Dunque, il primo passo da compiere consiste nel purificare la nostra immagine di Dio, riconsegnandogli la sua dignità di Padre benevolo e misericordioso. E’ la scoperta della sua bontà infinita che placa le nostre ribellioni e ci libera dall’inautenticità: da contestatori di un Dio sfigurato, ridotto a carceriere, ci trasforma in figli pieni di stupore e di ammirazione per Lui, finalmente riconosciuto come un Padre straordinario; da devoti baciapile di un Dio, giudice inflessibile, ci fa diventare appassionati discepoli di suo Figlio che, come ci ricorda san Paolo nella seconda lettura, per amore nostro e per salvarci “non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo… facendosi obbediente fino alla morte di croce”.

Ezechiele nella prima lettura ci rammenta che Dio concede sempre e a ogni persona la possibilità di riscattarsi, quando dice: «Se il malvagio si converte e compie ciò che è retto e giusto… egli certo vivrà e non morirà».

Pensandoci bene, l’onnipotenza di Dio consiste proprio in questa sua totale disponibilità: non pone limiti alla sua misericordia; offre sempre a ogni uomo la possibilità di ravvedersi e di cambiare, anche nelle situazioni più complicate e scabrose della sua vita non ci sarà mai un punto di non ritorno.

Per capire questo Dio, che ama senza misura, è necessario un cuore leggero, svuotato dalla zavorra di una religione del dovere, del ricatto e della paura, che produce solo atteggiamenti equivoci e ingannevoli. Non stanchiamoci mai di chiedere al Signore un animo trasparente, compenetrato dalla sua grazia, che tutto perdona, purifica e risana.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina