“Vattene dalla tua terra!”

Gen 12,1-4a;

Sal 32;

2Tm 1,8b-10;

Mt 17,1-9

Il rito della Via Crucis, che ci accompagna nei venerdì di Quaresima insieme alle pratiche penitenziali del digiuno, dell’astinenza dalla carne e di altre rinunce, come liberarci dalla chiassosità della tv, ci stanno introducendo nel clima austero di questo tempo liturgico.

La Parola di Dio rimane tuttavia la bussola che orienta i nostri passi, indicandoci come punto di arrivo la Pasqua del Signore.

La prima lettura di questa seconda domenica di Quaresima, tratta dal libro della Genesi, ci invita a riflettere sul dono della fede, narrandoci la chiamata di Abramo, il padre di tutti i credenti, che quasi due millenni prima della nascita di Cristo seppe far silenzio nelle profondità del suo essere e riuscì a captare il segnale divino. Quella voce interiore, giorno dopo giorno,si faceva sempre più martellante, diventando un imperativo che risuonava come un tuono impetuoso: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”.

L’antico patriarca ci ricorda che la fede nasce dall’ascolto di una Parola destabilizzante, che chiede di lasciare la terra delle nostre sicurezze, di uscire dagli spazi angusti di una vita senza prospettive, per entrare in una dimensione nuova, abitata dalle promesse di Dio.

Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione”, gli dice l’Altissimo. Egli scommette tutto su queste parole, si fida di Dio, che gli prospetta un futuro luminoso, donandogli una discendenza “molto numerosa,come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” (Gen 22,17) e assicurandogli la sua benedizione che lo renderà, a sua volta, una benedizione per coloro che incontrerà.

Abramo ci insegna che credere in Dio significa affidargli la nostra esistenza, permettendogli di diventare protagonista del nostro destino: Egli dà futuro ai nostri progetti; la sua presenza in noi ci fa sentire al sicuro, avvolti dal suo sguardo benedicente, che arricchisce di dignità e di gioia la nostra vita e, di riflesso, quella del nostro prossimo.

La fede conosce però anche l’ora oscura della prova, del dubbio e dell’apparente non senso di ciò che accade in noi e attorno a noi.

Fu così per Abramo, che tuttavia: “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rm 4,8), perseverando fino all’età della canizie nell’attesa della nascita del figlio della promessa e piegando il capo dinanzi a Dio, che per metterlo alla prova inscenò una crudeltà inaudita, esigendo il sacrificio di Isacco.

Fu così anche per i discepoli, quando Gesù annunciò loro “che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto… e venire ucciso…” (Mt 16,21). La loro fede era improvvisamente piombata in un abisso di tenebra: funesti presagi oscuravano la loro mente e raggelavano il loro cuore.

Il Signore non abbandona i suoi nello sconforto e, come ci narra il vangelo, “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro”. Il suo volto all'istante “brillò come il sole”, preannunciando l’alba radiosa della sua risurrezione.

Il racconto prosegue dicendo: “Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con Lui”.

Dialoga con Mosè, il liberatore e il legislatore d’Israele. Gesù nella sua Pasqua porterà a compimento l’antico esodo, scioglierà definitivamente l’umanità dalle catene delle sue molteplici schiavitù e suggellerà con la croce il comandamento nuovo dell’amore.

S’intrattiene con Elia, simbolo di ogni profezia, che strappa la coltre dell’ipocrisia, affinché venga smascherata ogni menzogna. Il Signore alle prime luci di Pasqua rovescerà la pietra del sepolcro per diffondere nel mondo il suo annuncio di verità, la sua vittoria sulla morte, in uno sprigionarsi di grazia che come un fiume inonderà ogni cuore.

Signore, è bello per noi stare qui!” sbotta Pietro, il più provato dall’annuncio della passione, ora finalmente rincuorato, mentre dalla nube luminosa irrompe la voce del Padre, per ribadire: “È il figlio mio, l’amato, ascoltatelo!”. La fede di quei tre discepoli è ora rinvigorita: il loro sguardo può finalmente posarsi solo su Gesù, che li incoraggia a non avere paura.

In questo tempo di Quaresima intraprendiamo anche noi il santo viaggio che ci strappa dai deserti dell’anima, dove spesso vacilliamo sotto il peso delle nostre croci, e ci conduce, rinnovati nella fede, al sepolcro vuoto, simbolo silente di Cristo risorto che, sconfiggendo la morte, ci ha riconsegnati alla vita.

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