Grammatica universale in lingue diverse

Forse mai nella storia è stata avvertita l’urgenza del miracolo di Pentecoste come si avverte ai nostri giorni. Mi riferisco a quel fenomeno sorprendente per cui tutti gli ebrei, accorsi a Gerusalemme per la Pasqua da tante regioni diverse e parlanti lingue diverse, sentivano gli Apostoli parlare nella loro lingua. Una spiegazione plausibile, tra le tante interpretazioni, attribuisce il fenomeno al fatto che gli Apostoli, pieni di Spirito Santo, coglievano nelle coscienze una grammatica universale che è iscritta in ogni uomo a qualsiasi popoli appartenga e qualsiasi lingua abbia appreso.

Una delle “regole” di questa grammatica è, per esemplificare, quella dell’amore. Il marocchino, il rumeno, il cinese e via elencando capiscono se l’italiano, il tedesco, l’inglese li amano o li odiano. Il fenomeno è reciproco e si può declinare in tutti i modi.

Pentecoste è citata come l’opposto di Babele, tipico momento della confusione e contrapposizione delle lingue. Allora, come narra la Bibbia, gli uomini costruirono una torre per dare la scalata al cielo. A Pentecoste è il cielo che scende sulla terra, sotto forma di lingue di fuoco, una metafora dello Spirito Santo che per definizione teologica e rivelazione è l’amore di Dio.

La domanda che sorge spontanea di fronte alla molteplicità delle lingue che risuonano nelle nostre piazze, si odono sulle nostre strade e si intrecciano alle stazioni ferroviarie e sui bus delle città è: siamo destinati ad una Babele o possiamo aspirare ad una Pentecoste?

La risposta dipende dalla grammatica che adottiamo. Se è quella della superbia che si traduce in affermazione della propria identità, cultura e religione come assolute e prevalenti sulle altre, prepariamoci alla confusione di Babele. Se invece adottiamo la grammatica universale, iscritta in ogni uomo, al punto da tradurne l’essenza a tutti comune, possiamo attenderci una Pentecoste nella quale ognuno “sente” l’ambiente, le strade, le piazze “parlare” nella propria lingua.

In parole laiche: ci rassegniamo alla multiculturalità fatta di isole chiuse in se stesse e contrapposte come navi all’arrembaggio reciproco, oppure osiamo l’interculturalità che erige ponti di unione e vive di dialogo?

La questione non riguarda solo le rotte percorse dagli immigrati, le quote di ammissioni e la sicurezza. I rivoli sono penetrati dappertutto e anche nei piccoli comuni di montagna sulle liste di collocamento, accanto e in fila con i residenti, appaiono famiglie di marocchini, di romeni, di cinesi.

La sfida, in termini cristiani è tra Babele e Pentecoste, badando bene che lo Spirito non è incapsulato e men che meno incartapecorito in musei e pinacoteche tradizionali. Spira dove vuole e provoca profezie domestiche ma anche straniere. E profeti ci sono tra i tanti che curano l’accoglienza, si adoperano per far apprendere la nostra lingua, lavorano nelle scuole per creare interculturalità e si spendono nelle parrocchie per far sentire lo straniero “uno dei nostri”. Profeti pure tra i credenti di religioni diverse. Solo che spesso vengono snobbati o, peggio, liquidati come “buonisti”.

Certo l’appello è alla libertà ma anche alla coerenza e la scelta, per tornare all’immagine iniziale è tra lingue che non si capiscono e non dialogano e la grammatica universale della fratellanza, dei diritti e del criterio dell’unica famiglia umana.

A Trento, domenica prossima si celebrerà la “Festa dei popoli”. E’ già l’ottava edizione di un raduno che unisce nei canti, nei messaggi e nel convivio, comunità di immigrati europei, africani, asiatici e dell’America Latina alla presenza dell’Arcivescovo e del sindaco della città.

E non è casuale la coincidenza con la solennità di Pentecoste!

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