Radici cristiane e sogno europeo

Il Papa, parlando ai vescovi europei riuniti a Roma per un congresso a 50 anni dai Trattati di Roma che diedero inizio al nuovo disegno europeo, è tornato a parlare di “radici cristiane”, la dizione che non è entrata nel testo della Costituzione europea. Benedetto XVI non si è limitato a questo ma ha avanzato l’impressione che l’Europa abbia smarrito il contatto con le proprie radici cristiane. E ciò a causa di “una singolare forma di apostasia da se stessa prima ancora che da Dio”. Un “tarlo” avrebbe intaccato le sue stesse radici umane, provocando un calo delle nascite che potrebbe portare l’Europa “al congedo dalla storia”. Non solo quindi un taglio verso il passato ma anche una “perdita di fiducia nel proprio avvenire”.

Un’analisi drammatica da profeta dell’Antico Testamento in cui le “ragioni di Dio” s’intrecciano e si confondono con le ragioni dell’uomo.

Qualcuno ha giudicato pessimistica questa lettura e tuttavia ha un merito: quello di non ridurre la querelle sulle “radici cristiane” a mera rivendicazione di facciata come se bastasse intitolare la Costituzione a Dio o scrivere sul suo frontone “radici giudaico-cristiane” per considerarla un eccellente programma o una patente di eccellenza valoriale in atto. Anche perché storicamente non è così e non così appare al resto del mondo.

Il documento finale dell’Assemblea ecumenica europea, tenutasi a Basilea dal 15 al 21 maggio 1989, riflettendo sul passato dell’Europa così eccita: “La storia dell’Europa è storia di grandi conquiste culturali e scientifiche e dello sviluppo di valori umani essenziali, di saggezza spirituale e di esperienze. Allo stesso tempo, è una storia di violenza endemica, sia nel nostro continente, che nel mondo in generale. Per molti popoli che vivono altrove, questa parte del mondo relativamente piccola di nome Europa, non si caratterizza per una ricerca di dignità umana, di libertà e di giustizia sociale, ma per l’espansione coloniale, la schiavitù, il razzismo, la discriminazione, lo sfruttamento economico, la dominazione culturale e l’irresponsabilità ecologica”.

Non solo negli ultimi tempi quindi l’Europa sta tradendo le sue radici cristiane.

Ma quello che più importa ora è guardare al futuro, a quello che Jeremy Rifkin chiama “Il sogno europeo”. Lo studioso americano mette a confronto il “sogno americano” con quello europeo e opta decisamente per il secondo.

Guardando alla situazione geopolitica attuale, nell’era della globalizzazione, Rifkin pur dichiarandosi visceralmente innamorato dell’America, la cui Costituzione inizia con il nome di Dio e porta avanti la lotta al terrorismo come guerra dal regno del bene contro il regno del male, dic che se c’è una speranza per il futuro dell’umanità questa è contenuta nel sogno europeo.

Così sintetizza il suo pensiero sull’argomento: “Questi sono tempi tumultuosi; su gran parte del mondo sta scendendo l’oscurità e a molti uomini manca un chiaro orientamento. Il sogno europeo è un fascio di luce in un paesaggio sconvolto: ci indica la via verso una nuova era di inclusività, diversità, qualità della vita, sostenibilità, diritti umani universali, diritti della natura e pace sulla terra”.

E conclude. “Gli americani sono soliti dire che per il sogno americano vale la pena morire. Facciamo in modo che per il sogno europeo valga la pena vivere”.

Un inno ai valori che l’Europa, attingendo alle sue radici, alla sua cultura e alla sua storia potrebbe esprimere. Non si illude però nemmeno lui ed esprime grande preoccupazione che gli europei “non abbiano tutta la capacità di sperare necessaria per alimentare questa nuova visione del futuro.

Sono quindi gli europei e le Chiese europee che devono prendere coscienza di questo appuntamento con la storia e con il futuro.

Anche per un motivo tecnico-democratico. Dovranno essere loro a ratificare l’eventuale nuova Costituzione.

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