“Dolci” giorni tranquilli

Vive a Paterson, New Jersey. Si chiama Paterson (Adam Driver, già in Hungry Hearts di Saverio Costanzo e nell’ottavo episodio di Star Wars) fa l’autista del bus. La compagna Laura (l’iraniana Golshifteh Farahani, vista nel drammatico e struggente Come pietra paziente di Atiq Rahimi, ambientato nell’Afghanistan in guerra) sta a casa, dipinge tende e quadri, fa splendidi dolci che venderà al mercato agricolo e intanto ordina una chitarra perché vuole imparare a suonarla. La quotidianità è scandita da semplici gesti rituali, da attenzioni reciproche, minimali.

Proprio minimale è Paterson, l’ultimo film di Jim Jarmusch, il regista di Stranger than Paradise, Daunbailò, Mystery Train, Taxisti di notte, tra gli altri. Paterson scrive poesie (sono tutte di Ron Padgett, che ha fatto parte della New York School, gruppo d’artisti d’avanguardia attivo tra gli anni Cinquanta e Sessanta). E’ la poesia il filo, tenue, che tiene insieme l’ora e 53 minuti di Paterson. Un “inno” alla quotidianità, certo, ma anche alla scrittura in versi, versi semplici, sensazioni e vita di ogni giorno, passo passo, con lentezza.

Un film sulla poesia, dunque? Forse. Ma non è detto. C’è da chiedersi se sarà sempre così in quella coppia. Per ora sì, il tempo del film. C’è un sotteso senso di inquietudine, non un attimo di passione erotica, vitalità amorosa. Chissà come sarà più avanti. Film d’altri tempi, pensato, dove nulla sembra accadere per caso perché tutto è tenuto insieme da una “dolce” naturalezza, da sguardi reciproci, sempre quelli seppur dalle sfumature diverse. Dall’uscita serale con il cane, Marvin, strepitoso, il vero coprotagonista. Paterson entra nel pub, “parcheggia” il bull dog inglese sempre allo stesso gancio, fuori. Dentro il pub una birra, due chiacchiere con il barista che gioca a scacchi con sé stesso (che lo sta fregando, il sé stesso, in attesa di un torneo di là da venire).

Eppure, a ben vedere, in quella che è stata definita da qualche recensore “la poesia delle piccole cose”, scavando, emerge più di quanto si possa pensare. Almeno in rapporto a ciò che non succede o, meglio, si ripete, coazione a ripetere. E non è solo il guasto al bus guidato da Paterson. In questo universo sospeso, il fidanzato respinto irrompe nel pub minacciando di uccidere la sua ex ragazza con una pistola finta (ma chi poteva saperlo?) e Paterson interviene, atterrandolo. Una banda di poco di buono minaccia di rapire Marvin. Il quale, Marvin, lasciato solo a casa come mai gli era successo (la coppia va al cinema, in bianco e nero, rara uscita serale) distrugge e fa a pezzi il quaderno dove Paterson scrive le proprie poesie. Irrompe la realtà, anche con la sua violenza. E scardina, apparentemente, l’ordinaria tranquillità di una giovane coppia. Nella città dove è cresciuto Allen Ginsberg, in fondo, non è tutto così tranquillo come potrebbe sembrare.

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