Passano gli alpini…

Nell’Adunata nazionale del Centenario della fine della Grande Guerra, dall’Ana un invito alla fraternità e alla comprensione

Un colpo di grancassa, la tromba che prende fiato e squilla più forte. Bastano poche note per dare il passo a un'intera città vestita di verde, bianco e rosso. Gli alpini di tutta Italia tornano a sfilare a Trento, trentuno anni dopo, cento dal termine della Prima Guerra Mondiale. Hanno occupato gioiosamente strade, parchi e piazze, ora l'applauso delle due ali di folla accompagna la loro marcia scandita dal ritmo della fanfara.

C'è chi per essere qui ha superato un oceano. “Portare questo cappello vuol dire rispettare gli altri ed essere rispettati”, dice Fernando Caretti, 92 anni, presidente degli alpini di Argentina, dove è emigrato negli anni Cinquanta. Ad accompagnarlo ci sono anche i figli Mauro e Aldo. “Sedici ore di volo, poi il pullman. Ma alle Adunate partecipiamo sempre volentieri, c'è un'atmosfera di amicizia e di pace he ti ricarica per tutto l'anno”, continua Aldo. “Yo hablo español todo el dìa, però nella mia casa di Buenos Aires sono cresciuto parlando il dialetto piemontese del lago Maggiore”.

Poco più in là, le penne nere svizzere stanno scattando foto ricordo. A dirigere le danze Antonio Strappazzon, capogruppo degli alpini di Ginevra. “Amicizia e fratellanza sono i valori alpini; chi ha fatto l'alpino è alpino per sempre ed è per questo che c'è uno spirito di corpo così forte che si traduce poi in opere di bene. Anche all'estero ci sentiamo di rappresentare il ferro di lancia dell'italianità”.

Anche per le venticinque sezioni estere è il momento di mettersi in marcia. Li precedono il labaro dell’Ana e gli alpini decorati, mutilati e invalidi accompagnati dagli automezzi militari. Per loro parlano gli occhi lucidi e severi, per loro parla la Storia. Testimonianza vivente dal passato, solido monito per il futuro che momenti come questo contribuiscono a rafforzare.

“Trentatrè, trentatrè”, mani che tengono il ritmo dell'inno dell'alpino, poi tutti con il naso all'insù a cercare di immortalare con il telefono le Frecce che sorvolano il cielo di Trento. Un attimo e il boato lascia spazio ai colori della bandiera italiana. Anche le ragazze del coro parrocchiale “L'Arnica” di Praso hanno smesso per un attimo di applaudire lo sfilamento. Giuliana, Romina, Francesca, Marzia, Emy, Sabrina, Elda, Erika sono avvolte nel tricolore. Vengono dalla valle del Chiese e sabato sera hanno cantato per le vie della città. “Portiamo avanti la tradizione dei nostri genitori, dei nostri nonni”, ci dicono. “Cantiamo la nostra terra, per trasmettere un messaggio di pace”.

A file di nove, sfilano cappelli e striscioni. “Dove ci sono gli alpini non esistono ostacoli”, “Onestà, lavoro, solidarietà. Queste le nostre armi, questo il nostro onore”, “Non sono tornati ma sono qui con noi”, “Dopo l'impossibile, gli alpini”, estrema sintesi di quella scritta impressa nella roccia che sorveglia la nostra città. C'è anche chi dedica un pensiero speciale alle mamme nel giorno della loro festa (“Se non ci foste voi non ci saremo noi”) e chi ricorda i beati alpini: oggi assieme alle penne nere, sfilano così anche Carlo Gnocchi, Secondo Pollo, Teresio Olivelli e Luigi Bordino.

“Noi alpini abbiamo quattro beati, e non saranno gli ultimi perché ce ne sono altri in attesa”, sottolinea don Rino Massella, cappellano sezionale di Verona e Mantova. “È bello stare insieme agli alpini, è una famiglia; dove c'è qualche difficoltà, qualche problema, loro sono sempre i primi a intervenire. Nelle mie omelie – prosegue – cerco sempre di spronarli a vivere la propria fede da alpino, perché la generosità e la solidarietà, che sono nel nostro dna, sono valori cristiani”.

In dodici ore sfilano ottanta mila penne nere. Chi viene da fuori gira per la città piantina alla mano per trovare il numero corrispondente alla propria zona di ammassamento. E poco importa se c'è da attendere qualche ora prima del proprio turno. “Già qui fuori solo a sentire la fanfara te ven el grop ala gola. Quando verrà il nostro turno sarà un'emozione fortissima”, racconta Mauro Boller, 65 anni, della sezione di Vattaro. Sfilerà per la prima volta a Trento dato che nel '87, “aveven fat baraca la sera prima e non eravamo riusciti a sfilare. Sono orgoglioso di essere alpino, il problema è che oggi manca il ricambio generazionale”. Anche Marco Marini, 64 anni della sezione di Malosco e Dario Holzknecht, 73, di quella di Fondo, attendono con pazienza la sfilata con il loro cappello di feltro in testa. Ricordano le fatiche della naja ma anche il suo valore formativo. “Oggi quello che manca nei giovani – dicono – è il rispetto verso gli altri, verso l'autorità”.

Poco più lontano, su un terrazzino, un bimbo sventola il tricolore, guardando con curiosità le migliaia di penne che sfilano composte in strada. Qualcuno, un giorno, gli racconterà che cosa significa indossare con fierezza quel simbolo che viene dal passato, ma che parla al presente. Che parla di pace e non di guerra, di unità e non di divisione, di costruire ponti e non muri, di accogliere anziché respingere. Di sotto, intanto, risuona la grancassa e i fiati non si risparmiano. Gli alpini continuano a sfilare.

Riccardo Giusto

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