Attenti a quei due!

Come in un film d'azione, l'ultima scena racchiude il senso dell'intero racconto: quando il 25 aprile 1960 salutano il loro villaggio per la rischiosa missione, padre Mario Borzaga e il catechista laotiano Paolo Thoy Xyooj raccomandano di occuparsi dei malati, dei seminaristi, dei bambini della catechesi.

I due amici non torneranno più, massacrati dai guerriglieri. E le loro mamme invano attenderanno per trent'anni i loro corpi. Forse sepolti in una fossa, dispersi come semi nella terra. Ma dopo tanti anni ne vediamo i germogli, finalmente.

La doppia beatificazione – prevista per domenica 11 dicembre nella capitale Vientiane, in contemporanea con l'Eucaristia nella chiesa trentina di Sant'Antonio, a pochi metri da casa Borzaga – incoraggia la giovane Chiesa laotiana nella sua rifioritura dopo l'espulsione di 200 missionari nel 1975: a fine luglio tanti ragazzi laotiani si sono riuniti per la Giornata mondiale della Gioventù, in settembre sono stati ordinati tre novelli sacerdoti indigeni. “Il sangue dei martiri – lo diceva già il convertito Tertulliano – è seme di nuovi cristiani”.

Un film a lieto fine? No, perchè ancora oggi i controlli del governo del Laos frenano la diffusione del Vangelo. L'avventura dell'Oblato di Maria Immacolata e del suo catechista d'etnia Hmong non va edulcorata o infiorettata: la loro è “semplicemente” la parabola radicale del Vangelo vissuto fino alle estreme conseguenze in un contesto sociale e politico ostico. Come quello affrontato dagli altri 15 martiri beatificati domenica a Vientiane o dagli altri 13 missionari trentini uccisi in altre parti del mondo a ragione del Crocifisso.

Attenti a quei due! Dunque, per tanti motivi. Se gli occhi della nostra Chiesa guardano al cielo del Laos in questa domenica dicembrina (e il prossimo 30 aprile, quando verrano in Duomo i Laotiani) è per riconoscere la scelta di vita di Mario e Paolo, confermata dagli amici testimoni del missionario cresciuto in Bolghera, a due passi dal Fersina, e del coraggioso giovane apostolo nei villaggi sul Mecong.

Mario non esce da un romanzo ottocentesco. Classe 1932, tifava Coppi e Bartali, si beccò un esame in filosofia, amava le montagne e suonava il pianoforte, aveva una scarsa manualità. Era un ragazzo di formazione preconciliare, ma nei suoi scritti anticipò il Vaticano II nella missione ad gentes. Grazie ad alcuni padri spirituali (come il grande don Eugenio Bernardi) scoprì un Cristo che gli cambiò la vita, mettendogli dentro la gioia di partire lontano “…fino al Polo”, come gli scappò di svelare durante una gita. Un contemplativo attivo, si direbbe oggi, un missionario radicato nella Parola. Un mistico che conosce anche le notti della paura, ma non teme la prospettiva del martirio. In ogni caso “un uomo felice”, come si qualifica nel suo diario, evangelizzatore “per le strade che avevo sognato”.

Dall'11 dicembre il beato Borzaga, trentino doc, non sarà separabile dal beato Paolo, catechista buono e convincente, che lo accompagna nell'ultima uscita. Dietro a lui nella sequela del Vangelo, si pone davanti a lui quando i guerriglieri Phatet Lao lo minacciano di morte credendolo una spia americana. “Se uccidete padre Mario, uccidete anche me…” implora Xyooj, pronto anche lui a dare la vita “per i propri amici”, come dice il Vangelo anche tradotto nella lingua Hmong.

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