Chi educa sceglie una strada in salita

Da nove anni ormai “Educa”, il festival che anima Rovereto con laboratori e dibattiti, ci ricorda che educare è un'impresa seria: non si delega e non si improvvisa.

Gli eventi di violenze domestiche, come le ingiustizie strutturali che sfiancano i più deboli, ci spingerebbero a cedere all'impotenza, alla rassegnazione. Non dobbiamo invece venir meno al nostro dovere di adulti, manovali (non picconatori!) nel cantiere delle nostre comunità, perchè chi abdica alla fatica di educare lascia la cattedra a disposizione di cattivi maestri.

Anche “L’educazione mi sta a cuore”, slogan e tormentone della tre giorni di Rovereto, va appuntato sul petto come una promessa a non cedere agli atteggiamenti disfattisti del “chissenefrega”. E a fare piuttosto la nostra piccola parte di testimoni di fiducia, generatori di relazioni autentiche.

“I care” stava scritto sui muri della scuola di don Lorenzo Milani a Barbiana e quel motto “me ne importa” è ancora fresco cinquant’anni dopo la “Lettera ad una professoressa”. Che merita di essere riletta e riscritta (come hanno fatto alcuni gruppi di studenti in vista di “Educa”), aggiornata ai tempi di Facebook nei suoi resistenti valori-guida: uguaglianza, partecipazione, giustizia sociale, diritti di cittadinanza, opzione per gli ultimi…. Perché educare non è una faccenda privata, ha sempre una ricaduta sociale. Deve farsi ricerca di obiettivi condivisi nel rione e nel paese, seminati nei piccoli mondi vitali, crogiuolati dentro un confronto faticoso ma sempre fecondo, se partecipato.

Nonostante “l'epoca delle delle passioni tristi” quest'edizione di “Educa” ci manda a dire che “Un altro presente è possibile”, come s'intitola il libro che sarà presentato domenica. Il filosofo Miguel Benasayag invita a recuperare rapporti educativi reali, non virtuali: “Per sapere qualcosa della seconda guerra mondiale, perchè un ragazzo di oggi dovrebbe rivolgersi a suo nonno, che quegli eventi li ha vissuti in prima persona, ma che ha ormai la memoria debole, e confonde luoghi e date? Non c'è motivo di chiedere a lui, quando su Wikipedia si può avere un quadro storico preciso degli eventi. In effetti il contenuto strettamente informativo che passa tra nonno e nipote durante una conversazione così non supera il 10% del totale: ma ciò che davvero conta è la situazione di trasmissione, il senso di protezione, di collegamento che si instaura tra le generazioni. E' ciò che permette di sfuggire allo schiacciamento sulla sensazione immediata, al tempo rapido irriflessivo, lineare e privo di rischi. Di recuperare il senso dello spessore della realtà”.

Gli organizzatori di “Educa” possono trovare una grande figura di riferimento nel pedagogista trentino Giovanni Gozzer, primo provveditore agli Studi in territorio trentino e poi protagonista con i due fratelli nella resistenza cattolica. “I genitori troppo spesso vedono i figli solo con i loro occhi – la citazione è ripresa da Roberta G.Arcaini nel fresco volume a cent'anni dalla sua nascita (vedi pag.10) – ; senza cercare di capire quello che veramente essi sono come si potrà dare a questi ragazzi la sospirata serenità, quali siano il lavoro o l'attività professionale adatta. Un genitore potrà anche assicurare un titolo di studio, una laurea, ma se questi non corrispondono alle genuine capacità del giovane, non saranno per lui un elemento di vantaggio, ma forse un punto di partenza negativo”. “I genitori che leggono questa guida – concludeva Gozzer – ricordino bene che alla base del problema educativo sta il principio che noi dobbiamo pensare al giovane senza che ci facciano velo i nostri desideri, le nostre esperienze, le nostre aspirazioni. Bisogna cercare prima di tutto che il giovane trovi la sua strada, quella che potrà percorrere bene fino in fondo: scopo dell'educazione è trovare questa strada”.

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