Dinanzi a questa Lettera non possiamo balconear

La vita è bella? Lo dici tu. Potrebbe essere questa la risposta spontanea a un titolo così provocatorio da parte di quanti non hanno alcun motivo per poter condividere l’asserzione che dà il titolo alla Lettera alla comunità del vescovo Lauro Tisi. Se così fosse non dovremmo per questo stracciarci le vesti e – ne sono certo – non lo farebbe il nostro Vescovo.

Non è facile, ancorché doveroso, in questi tempi scoraggianti e bui, apparentemente privi di speranza tentare, pur con tutti i limiti che questo può comportare, di spendere parole di fiducia e incoraggiamento che possano aprire spiragli di luce nel cuore delle persone.

Mi pare che il Vescovo ci abbia provato in questo suo scritto e non certo a partire da discorsi aulici, ma dal concreto della vita e della sofferenza delle persone. Non sono in grado di dire quanto ci sia riuscito. Si coglie nella sua Lettera il desiderio di trasmettere qualche cosa che è un suo sentire profondo e che affonda le radici nella fede in quel Gesù di Nazareth avvertito come “uno di noi, in tutta la semplicità e grandezza dell’essere uomini”.

È apprezzabile la brevità dello scritto anche se questo può comportare e forse ha comportato minore approfondimento di temi e argomenti soltanto in parte accennati. Ma forse è proprio nello stile di don Lauro e può essere che la modalità sia intenzionale, quasi a dire: a partire da questi spunti che vi offro, cercate voi di sviluppare l’argomento, mettendoci del vostro. Se così fosse, a mio parere la scelta meriterebbe particolare apprezzamento.

Voglio riprendere e rilanciare qualcuno di questi “input”. La sobrietà “come parola umile” capace di divenire profezia nella Chiesa e nella politica, inverandosi in costruzione di futuro. Sobrietà come amore per i poveri capace di aggiungere un posto a tavola a chi ne ha bisogno, facendosi quindi condivisione. Sobrietà, come inno alla lentezza con la sottolineatura dell’importanza del saper “perdere tempo” nella relazione con gli altri.

È questo un tema, a mio avviso, di capitale importanza, non solo per le ragioni che ricorda il Vescovo, ma anche per altre di stringente attualità: vediamo fin troppe persone indotte a ritenere che la soluzione ai conflitti, anche quelli di casa nostra, della nostra città, dovuti a tante situazioni di disagio sociale, si possano e si debbano risolvere innalzando muri divisori, cancellate, recinzioni.

Infine la bellezza della non violenza con l’invito pressante “alle nostre comunità cristiane di essere modelli di non-violenza”, nel solco di due testimoni della nostra terra: l’altoatesino Josef Mayr-Nusser e il trentino Mario Borzaga.

Sono argomenti importanti dai quali partire per aprire riflessioni non estemporanee, dentro le comunità cristiane, capaci di spingerci all’azione e offrire piste di cammino sulle quali incamminarci con convinzione. Dinanzi alla lettera del nostro Vescovo possiamo balconear, per dirla con papa Francesco, ossia stare alla finestra a guardare cosa succederà, oppure scegliere, magari criticandola, di aprire tra noi e con il Vescovo un dialogo sincero e costruttivo a partire dagli stimoli e dalla suggestioni che in questo testo ci offre.

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