Francia-Croazia resti soltanto una finale

Da una parte la Francia multiculturale e multietnica che alza al cielo la Coppa, in una festa attesa da anni ma rovinata da decine di facinorosi che, mischiati alla folla, mettono a ferro e fuoco gli Champs-Elysées. Dall'altra la Croazia d'argento, emblema del nazionalismo, che torna a casa a testa altissima, festeggiata per terra e per mare da un intero popolo. Se è vero che il calcio è sempre stato la cartina tornasole della società, è vero anche che la strumentalizzazione forzata dei fatti, da una parte e dall'altra, è un errore madornale.

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Come si può pensare che bastino 90 minuti di pallone (e le poche ore precedenti e successive…) a raccontarci le complesse problematiche di uno Stato e di una nazione? Siamo convinti davvero che ventidue professionisti che in quel momento altro non stanno facendo che il loro lavoro, possano indicarci una strada oppure oppure l'altra in merito alle politiche migratorie o alle sfide della convivenza?

Francia–Croazia ha smesso troppo presto di essere una partita di calcio, il confronto tra due filosofie calcistiche differenti ma modernissime, tra due squadre che ci hanno fatto vedere il miglior calcio del Mondiale, i giocatori più forti (Modric e Mpabbé su tutti), i gesti tecnici più applauditi e un’insuperabile tenuta fisica. E che giustamente si sono affrontate nell’ultima gara, la più importante.

Francia–Croazia è stata una partita emozionante, bellissima, divertente. Ma tale deve restare.

La politica si gioca su altri campi: non è più tempo di slogan da stadio ma di scelte coraggiose e lungimiranti. Che non si possono fermare certo alla strumentalizzazione di una partita di calcio.

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