Kassim con gli occhi pieni di speranza

Quella mattina Kassim aveva ancora la febbre. Da alcuni giorni  aveva gli occhi lucidi e alla ricreazione se ne stava silenzioso in un angolo. Non che abitualmente fosse il capobanda dei giochi sfrenati nel cortile della scuola di montagna dove ero preside, ma quel giorno era particolarmente triste.

Gli altri bambini sfoggiavano i giochi portati da casa, le bambine parlavano concitatamente della prossima festa di compleanno. Lui si guardava intorno con occhi sognanti, disegnava qualcosa nella sabbia e subito la cancellava frettolosamente. Sorrideva a quei pochi che gli rivolgevano una parola o se qualcuno lo invitava a stare in porta nella breve partita a pallone dell’intervallo. Sì, certo, in porta, come da regola: il più scadente lo si mette in porta e non potrà esultare, togliendosi la maglietta, nel momento del goal, così come si vede in televisione. Milena, la premurosa bidella che rincuorava, con un sorriso e una carezza, ogni studente, mi raggiunse nell’angolo del cortile che avevo scelto come luogo di osservazione affettuosa e privilegiata dei “miei studenti” e mi disse che e da alcune mattine provava a cercare i genitori di Kassim, ma nessuno rispondeva al telefono. “Come si fa a farlo stare a scuola anche questa mattina? Si vede che è ammalato. Non vuole la frutta a ricreazione e anche in mensa ieri non ha mangiato. So per certo che la mamma è a casa, ma lei non parla italiano e il telefono del papà va sempre in segreteria. Bisognerebbe portarlo a casa. Ma chi lo fa?”.

Mi avvicinai e dissi a Kassim che era meglio per lui andare a casa e starsene qualche giorno a letto. “Ti ci porto io, con la mia macchina e tu mi farai da guida”. E’ bello vedere lo stupore negli occhi dei bimbi. Avevo detto una piccola bugia: conoscevo l’indirizzo della sua casa in una minuscola frazione quasi disabitata dell’altopiano e, alla peggio, avevo con me, per trovarla, il tom-tom regalatomi dai colleghi. Ma lui, la mia guida, era orgoglioso di essermi utile, era felice di salire sulla mia macchina, era stupito che gli portassi lo zaino con le sue poche cose e forse, nel suo intimo, desiderava che io conoscessi la sua famiglia. Nella sua casa, sistemata alla meno peggio, ma immersa nei profumi di spezie, di sesamo e di mandorle tostate, la mamma, vestita con i variopinti colori del suo abito tradizionale, mi accolse con rispetto e con un sorriso, mettendo in fila e presentandomi le tre sorelline più piccole. E tre giorni dopo l’intera famiglia, papà compreso, riportarono orgogliosamente Kassim a scuola e lui fu il miglior traduttore, dal pakistano all’italiano, che io potessi sperare. L’intera famiglia parlava con gli occhi e, alle frasi gentili di ringraziamento di Kassim, annuiva silenziosamente. Il calore delle loro mani, che stringevano lungamente le mie, era il segno più bello di un’integrazione possibile.

Kassim traduttore, Kassim guida, Kassim piccolo uomo, Kassim con gli occhi pieni di speranza.

Gli studenti di cittadinanza non italiana nelle scuole trentine, nell’anno 2015-16, sono stati 9769 e il dato nazionale riferisce che siamo a quota 815.000. Chi lavora nella scuola deve comprendere quale responsabilità ha per il futuro di questi bambini e ragazzi e del mondo intero. Non si tratta solo di “fare mediazione”, di fare progetti, di istituire “figure di riferimento”, di fare formazione. Sì, anche e necessariamente. Ma si tratta di dare soprattutto, ogni giorno e instancabilmente, dignità e rispetto alle storie di tutti, di prefigurare un’integrazione reale. Si tratta di abbattere pregiudizi, si tratta di creare le condizioni, sociali e legislative, per un cambiamento radicale di prospettiva e di visione del mondo . Perché la storia di Kassim è la storia di Amina e Serhij, di Dorina e di Luis, di Pyotr e di Vladimir, di Eduardo e di Violeta, di Fatima e di Kamal.

Ora Kassim sarà grande, forse sarà in Svezia, forse si sarà fatto una famiglia. Forse non avrà fatto tutto bene, forse qualcosa avrà sbagliato. Forse lavorerà in una stalla come suo padre o magari studierà a Yale; forse avrà un chiosco di kebab a Berlino, forse giocherà in porta in qualche squadra di calcio. Ma sicuramente avrà qualcosa di buono da ricordare.  E allora che sabato e domenica a Trento sia festa, festa dei popoli, festa di chi vuol farsi prossimo, forse fratello, necessariamente compagno di viaggio.

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