Nelle mani di Conte, un Contratto necessario, ma molto fragile

In bocca al lupo, dunque, al governo Conte! Un saluto di benvenuto è dovuto al nuovo “commissario tecnico” del governo nazionale. Non solo perché dover guidare questa squadra “convocata” da altri sarà più difficile che allenare il vittorioso Chelsea dell’omonimo Conte, ex ct azzurro, ma soprattutto perché la “melina” era arrivata in zona Cesarini, senza pareggio tra Lega e Cinque Stelle.

Quando 80 giorni fa le urne avevano consegnato un Paese con tre vincenti e nessun vincitore (in grado cioè di governare da solo), era  apparso subito lampante che questo triangolo scaleno avrebbe faticato a trovare un suo equilibrio. D’altra parte, come aveva ammonito fin dalle prime consultazioni il silenzioso architetto del nostro assetto istituzionale, Sergio Mattarella, non era concesso e nemmeno utile un ritorno alle urne. Non sarà una democrazia ancora matura, con un’alternanza sancita dal popolo, ma il principio del mandato popolare non andava eluso e deluso; chi è stato scelto per governare, deve farlo responsabilmente anche in condizioni proibitive, come quella – all'apparenza paradossale –  di trovare un’intesa con i propri principali avversari.

Il passo indietro di Forza Italia e Fratelli d’Italia così come l’altolà del Partito Democratico hanno alla fine “costretto” Salvini e Di Maio nel loro confronto attorno ad un confuso tavolo di lavoro. Non è uscita un’intesa tra visioni politiche e culturali molto distanti, ma quello che è stato definito onestamente Contratto. Frutto cioè di una mediazione pragmatica, ponderata ed espressa punto per punto, vincolante in modo stringente: se si viola anche in una sola delle sue parti, il Contratto si straccia. E non sarà possibile scriverne un altro.

E’ la forza della necessità a sostenere questa formula consociativa che appare  inedita nella storia politica italiana: non è nemmeno proponibile un confronto con il “compromesso storico” alla Berlinguer che vide lentamente convergere negli anni Settanta Partito Comunista e Democrazia Cristiana, perché in quel caso c’erano spinte interne che riconoscevano punti di vicinanza sul piano valoriale e motivazioni geopolitiche che legittimavano un’intesa nel complesso scacchiere internazionale.

Tanto è necessario, altrettanto appare fragile il Contratto.  E’ stato scritto infatti per giustapposizione delle rispettive piattaforma programmatiche, poi per sottrazione o addizione: lo si comprende dalla lettura del testo che appare scritto in due lingue diverse, ma lo si intuiva anche dalla ripresa televisiva dei due staff impegnati nella contrattazione – sul maxi schermo la bozza e i suoi mille emendamenti – che ricordavano dal punto di vista tecnico le commissioni legislative del Consiglio provinciale chiamate ad accorpare disegni di legge in un testo unificato (in quel caso però la convergenza politica è meno obbligata).

Come e quanto potrà reggere il Contratto che Conte è chiamato ad eseguire (come peraltro non prevede l'art. 95 della Costituzione)? Il nostro politologo Paolo Pombeni ha colto in queste settimane “una evidente esibizione di inconsistenza da parte del populismo nostrano” e ha osservato che “alla prova dei fatti non si sta trovando la via per trasformare le mirabolanti proposte elettorali sulle quali si è raccolto il consenso in una strategia di governo che possa superare il confronto con i meccanismi di garanzia che reggono il nostro sistema”.

Un motivo di fiducia puo venire dal dovere di rispettare i vincoli dall’Unione europea fin dalle prime prossime mosse del governo leghista a cinque stelle, ma anche dalla severità della burocrazia ministeriale italiana con i paletti previsti in nome della Costituzione e anche della normativa esistente.

Come tutti i media e tutti i cittadini trentini, avremo il tempo per esercitare il nostro compito di giudizio e di stimolo: dalla lettura del  Contratto – lo diciamo subito, ma ci torneremo – appaiono misure attese da tempo, ma anche iniziative allarmanti (sul piano dei migranti, esempio)  e lacune  evidenti (nelle politiche familiari o nello scenario europeo e internazionale) che ci preoccupano non poco, alla luce della dottrina sociale cristiana.

E’ il tempo della vigilanza attiva, non del pregiudizio disfattista o menefreghista.  Invitando a non cedere nella speranza,  il presidente della Cei Bassetti ha rivolto martedì ai vescovi italiani questa domanda che risuona anche per noi: “Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni? Perché il dibattito tra noi è così stentato? Di che cosa abbiamo timore? Gli spazi che la dottrina e il magistero papale ci hanno aperti sono enormi – come ribadiva ieri sera il Santo Padre – ma sono spazi vuoti se non li abitiamo. E spazi dottrinali vuoti o pieni di pia retorica non sono sufficienti a contenere le tragedie di questa umanità in mezzo alla quale la misericordia del Signore ci ha posto”.

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