Se anche la Chiesa è “smart”

Il bello di essere smart, furbi, talora scaltri, più semplicemente intelligenti, come recita la traduzione dall’inglese. Piegando la tecnologia digitale, concentrata in un’app sul proprio smartphone (telefono, guarda caso, intelligente già in catena di montaggio), a un obiettivo: migliorare la qualità della vita. E’ il connotato di Trento, smart-city, città-intelligente, messo in mostra per una settimana di affollati eventi settembrini e ora inciso nei pannelli ramati di benvenuto sulle rotatorie d’ingresso in città.

Per diventare smart, si legge nel decalogo, una città “deve organizzarsi, valutare i propri punti di forza e di debolezza e definire in maniera organica il proprio percorso di miglioramento sulla base di una strategia chiara, in un piano condiviso con tutti i soggetti del territorio”. Osservare la realtà, definire strategie, condividere percorsi: ricetta politica ineccepibile, al di là di maggioranze traballanti, purché non ridotta a mera cornice tecnologica e strumentale, senza attenzione ai contenuti.

La triplice scansione potrebbe interessare da vicino anche il versante ecclesiale chiamato, sotto la guida di un vescovo fresco di cattedra, a riposizionarsi nel contesto trentino. L’assemblea diocesana di sabato 24 settembre, tradizionale avvio dell’anno pastorale, nasce con molte premesse favorevoli: un nuovo pastore, appunto; consigli parrocchiali e di unità pastorali in fase di rinnovamento; pressanti priorità da individuare, facendo pure i conti con una crisi che non risparmia piazza Fiera quanto piazza Dante.

Osservare: la Chiesa non può prescindere dal rimettere bene a fuoco un contesto dove domina l’apatia per il sacro e per la fede praticata, ma con l’imperativo evangelico di non abbandonare la speranza di riuscire a dare corpo all’appello bergogliano di credenti “in uscita”. Anche perché, rivela ancora l’osservazione, c'è una richiesta di qualità della vita a cui la pubblica amministrazione non è in grado di dare risposta. Non da sola, almeno. Tale qualità non passa dai circuiti tecnologici ma dalla bontà delle relazioni, dalla voglia di condividere percorsi di umanità vera, fatta di responsabilità personale e rispetto reciproco, gusto della verità condivisa, solidarietà sincera, fraternità a cominciare da piccoli gruppi. Chi, se non la Chiesa, potrebbe rilanciarne l'esempio in quest’oggi utilitarista che sembra monetizzare ogni scelta?

E qui si innesta il pensiero sulle strategie, sulle modalità per far sì che la qualità della vita ritorni ad essere orizzonte comune e non dell’”intanto noi e per il resto…”. Allo scopo va forse recuperata l’efficacia della tecnica di comunicazione di massa sintetizzata nella “teoria della coltivazione”: seminare poco alla volta, senza fretta ma con costanza, la percezione che insieme è meglio, da soli non si va lontani. Favorendo così una cultura della fiducia al posto della zizzania dello scoramento lamentoso.

Terzo atteggiamento smart: condividere percorsi. La condivisione è via obbligata per la comunità ecclesiale dove non dovrebbero prevalere gerarchie ma solo responsabilità condivise. Nella vigna, tanto per restare sulla coltivazione, non conta il “mons” o il “dott”, non ha importanza chi viene prima e chi dopo, ma la buona volontà per puntare a un obiettivo comune: non arrendersi alla percezione di un Dio assente, stanco di attendere che noi acconsentiamo ad amarlo, per riprendere Simone Weil.

E allora la conferma di una Presenza può anche arrivare da un collega giornalista che viene a confessarti con entusiasmo che il Padre ha bussato alla sua porta ed egli non ha potuto far altro che aprirgli: “Tardi ti amai”, recita il suo ultimo post su Facebook, citando sant’Agostino. Non nascondo una certa invidia per entrambi, padre della Chiesa e cronista. Forse, ma credo di essere in buona compagnia, va migliorata la fase di attesa.

p.s.: sarebbe bello arrivare a porre un cartello smart-city anche in un aiuola del centro-storico, dove per molti aspetti potrebbe suonare improprio. Alla comunità ecclesiale non spettano certo compiti di repressione della malavita, ma forse un dovere di corresponsabilità nell’aiutare a rendere, se non proprio intelligente, almeno abitabile un territorio, quello sì. Senza scomodare i fantasmi delle ronde notturne. Anche questa è qualità della vita. Anche questa è Chiesa in uscita.

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