Tra razzismo e Ius Soli, di ritorno dalla missione

Tornando in Italia dal Ciad, dove ho collaborato in missione con don Costantino Malcotti, trovo il freddo non solo nell'aria, ma anche nel cuore di tante persone. Ci penso quando mi dicono della recente mozione con cui il nostro Consiglio regionale vorrebbe stoppare la legge che dà cittadinanza italiana a bambini che sono nati, cresciuti ed educati in Italia. O quando leggo su Avvenire del sondaggio secondo cui la maggioranza degli Italiani arriva a giustificare forme di razzismo.

Atteggiamenti che peraltro si ritrovano in altri Paesi e forse corrispondono al modo di sentire di un numero crescente di persone. Mi sembra che sia un freddo nel cuore che viene accettato come normale, come se la nostra vita, il nostro cuore, dovesse essere di ghiaccio. Ma non può essere così, soprattutto se vogliamo ancora dare importanza alla nostra fede cristiana.

Che sarebbe successo se Gesù, portato in Egitto da Giuseppe e Maria, un rifugiato come tanti, fosse stato respinto e lasciato in balia di Erode? Vogliamo dimenticare che non c'è famiglia qui in Trentino che non abbia avuto dei migranti ben poco tempo fa?

Siamo noi a non vedere quali sono i segni dei tempi che stiamo vivendo, il particolare momento storico col fenomeno di migrazioni massicce?

Quante volte da bambino ho sentito mia madre dire “l'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re” e forse questo proverbio si può tradurre ora anche in questo modo: “voglio ignorare la realtà di questo momento; voglio far finta di non vedere tutta l'ingiustizia internazionale (in cui noi facciamo la nostra parte) che regna nel mondo; non voglio accettare che questa ingiustizia abbia l’effetto di costringere talmente tante persone a fuggire il loro paese e venire da noi”. Ci sono tante cause, è vero, ma non si può semplicemente dire così: “Non voglio”.

Non serve, sia in questo caso come in tutta la nostra vita, fare gli struzzi o chiudersi a riccio. Io suggerirei un rimedio molto semplice: guardare le foto di questi migranti che per salvarsi si buttano in mare dai barconi che affondano, oppure di bambini che devono vivere nelle tende durante il freddo di questi mesi. Oppure di padri e madri angosciati che cercano una via d'uscita da situazioni terribili, che spesso ignoriamo. Quelle foto non mentono, ci avvicinano al dramma che milioni di persone stanno vivendo. La disinformazione o il calcolo politico non ci dicono niente sulle dittature, violenze, ingiustizie che prevalgono nel mondo. Se il Vangelo e la fede cristiana oggi per la maggioranza degli italiani significano ben poco, almeno una fotografia dovrebbe toccare il cuore. Non per suscitare facili emozioni, ma per ricordarci di non essere ciechi di fronte alla realtà.

Passare dal livello individuale al livello politico è una necessità, perché a me sembra che le migrazioni diventeranno sempre più forti, sia per l’aumento demografico delle popolazioni in Africa, Asia, America latina, sia perché il divario di livello di vita si fa più stridente, sia a livello nazionale che internazionale; dimentichiamo che anche tantissimi giovani italiani stanno emigrando?

Come sempre, alla fine è una battaglia per un mondo più giusto, dove la persona umana, chiunque sia, sia non solo rispettata, ma sia la priorità assoluta di tutto quel che si fa. Se i generali di questa battaglia – le autorità politiche – hanno paura come le loro truppe, cioè i cittadini, che esito prevedere se non la sconfitta? Paura della vita, rappresentata dagli stranieri, dai ‘neri’, dai vicini, dai mussulmani. Paura degli altri e allora fautori di una cultura di disprezzo, di chiusura, di morte. Paura di far rispettare le regole elementari, come non dire parolacce o insulti, o di applicare la legge; mi viene in mente la realtà dei ghetti in Europa dove si accetta che siano fondamentalisti islamici a dettar le regole. Paura di andare contro corrente, così che noi stessi diventiamo fondamentalisti e appoggiamo crimini come i lager dei migranti in Libia, o esaltiamo come conquista sociale il matrimonio omosessuale, come in precedenza s’era esaltato l’aborto.

Tornando ora in Italia, vari giovani del Ciad m’hanno domandato di venire con me. Non sanno com’è complicato e costoso fare questo viaggio, ma soprattutto non sanno quel che domandano, non sanno la freddezza e l’isolamento della vita da noi rispetto alla loro, non sanno affrontare la situazione attuale in Italia, in Europa. La domanda è se lo sappiamo noi.

Don Sandro De Pretis

missionario trentino in Ciad

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