Una fiction di storia civile

La debolezza del sistema finanziario, la corruzione di quello politico (ma che sorpresa…), le connivenze fra poteri occulti e la coerenza estrema di un uomo al servizio dello Stato dal primo all’ultimo minuto del proprio ruolo, fino alla morte. Gli ingredienti della miniserie Qualunque cosa succeda trasmessa la settimana scorsa in due serate da RaiUno sono tutti qui. E sono più che sufficienti a ripercorrere la vicenda di Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese che su incarico della Banca d’Italia diventò commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona. Che lo fece uccidere da un killer della mafia italoamericana l’11 luglio 1979.

Il titolo è lo stesso del libro scritto nel 2009 dal figlio minore di Ambrosoli, Umberto, anch’egli avvocato, che ripercorre la vicenda e, naturalmente, la fiction deve ricorrere a ellissi e semplificazioni per raccontare una storia complessa, dai molteplici risvolti non soltanto storici ed economico-politici ma anche personali e famigliari. In questo senso anche la scelta degli attori – a Pierfrancesco Favino la parte del protagonista – è soggettiva, ma al netto della recitazione resta la portata profonda di un esempio di “eroe borghese”.

Nessuna retorica agiografica, nessuno stravolgimento spettacolare, nessun barocchismo nella produzione diretta da Alberto Negrin, che torna a raccontare una vicenda già proposta da Michele Placido in un film nel 1995 ma sempre attuale. La cifra stilistica della miniserie è proprio questa “normalità”, anche da parte della recitazione di attori che non vanno sopra le righe e, anzi, a tratti sembrano quasi rinunciare a una parte della propria capacità teatrale per lasciare spazio al vissuto dei personaggi che interpretano.

È interessante che soltanto in una fiction la realtà storica italiana più drammatica trovi spazio e possibilità di essere trasmessa al grande pubblico televisivo, solitamente abituato a trovare in produzioni di questo genere vicende verosimili ma inventate, più che vere.

È un modo per restituire concretezza ai fatti, rinunciando (finalmente) a una parte di quella spettacolarità che ormai li ammanta in ogni versione o interpretazione anche nelle trasmissioni dichiaratamente informative e che lascia il posto alle parole. Fra le quali meritano quelle scritte da Giorgio Ambrosoli alla moglie Annalori in una lettera da lei scoperta per caso fra le carte del marito: “È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese

…]. Ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale […] creandomi ovviamente solo nemici […]. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […]. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro […

. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi”. Il prezzo pagato da chi le ha scritte è stato il più alto. Anche per questo bisogna che queste parole restino nella memoria collettiva, pure attraverso una fiction.

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